TU SEI ANTIFASCISTA? COS’È IL FASCISMO? UNA RIFLESSIONE OLTRE LA STORIA

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Il termine “fascismo” evoca immediatamente immagini in bianco e nero di Benito Mussolini, camicie nere e raduni di massa. Come fosse una circostanza chiusa in una scatola con su scritto “COSE BRUTTE” dell’archivio della storia.

Tuttavia, ridurre il fascismo a un fenomeno storico confinato nel tempo e in determinate regioni è un errore.

Il fascismo, infatti, non è solo un insieme di eventi, ma una mentalità, un’attitudine che si manifesta in molte forme, ben al di là delle foto sbiadite del Ventennio.

E ben al di là di divisioni arcaiche quali sono destra e sinistra.

Oggi, in un mondo dove tutti si dichiarano antifascisti, è fondamentale comprendere che il fascismo può assumere nuovi volti, nascosti dietro a maschere spesso insospettabili.

L’ESSENZA DEL FASCISMO: UN’ATTITUDINE SENZA TEMPO NÉ COLORE

Il fascismo non è solo la dittatura di Mussolini o quella di Franco, ma una manifestazione più profonda di controllo, oppressione e uniformità forzata delle idee, delle scelte e dei comportamenti.

È una mentalità che cerca di soffocare il dissenso, persino il contraddittorio, per ridurre la pluralità delle idee in nome di un “bene comune” imposto.

In questa luce, possiamo considerare fascismo ogni tentativo di limitare la libertà di opinione, ogni pressione verso un pensiero unico, ogni discriminazione basata su una visione dominante che non tollera differenze.

ANTROPOLOGIA E PSICOLOGIA DEL FASCISMO

Il fascismo impone una visione unilaterale della società, in cui le diversità culturali e individuali vengono schiacciate in nome di una presunta unità nazionale o sociale per qualsivoglia ragione: identitaria, sanitaria, politica, militare.

Questo crea un ambiente di conformismo, dove l’individuo è spinto a sacrificare la propria identità per aderire a un ideale collettivo.

Ciò induce a una massificazione dell’individuo, ridotto a semplice ingranaggio di un sistema che lo vede solo come parte di un tutto, mai come un essere unico con pensieri e sentimenti propri.

Per esempio, durante la pandemia, tale alienazione dell’individuo è diventata diffusa e si sono scoperti molti atteggiamenti discriminatori nei confronti di chi non si conformava agli unici pensieri che venivano ottriati dai media come veri, reali e genuini.

Il FASCISMO NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLE OPINIONI

Oggi, la tentazione di regolamentare le opinioni sui social network e nei media tradizionali è un esempio lampante di questa mentalità fascista.

La discussione attorno alla necessità di censurare o moderare certi discorsi, per quanto mascherata da nobili intenti, rischia di soffocare il dibattito pubblico, ancor più in un momento in cui prevale l’illogica tesi per cui dovrebbero avere voce solo le persone titolate a parlare di un determinato argomento.

Cioé, per tanti, a parlare di medicina dovrebbero essere solo i medici, di calcio solo i calciatori, di legge solo gli avvocati, di ponti e strade solo gli ingegneri, di storia solo gli storici, e così via.

Una follia che non trova alcun fondamento, innanzitutto perché non è detto che un ingegnere non possa essere esperto di storia, o di alcuni aspetti della medicina. Certamente, non si pretende che operi a cuore aperto, ma perché non dovrebbe discutere di vaccini o di accanimento terapeutico?

Perché un medico non dovrebbe dire la sua su una nuova norma fiscale o sulla modifica del codice penale, visto che si tratta di argomenti che non incidono solo sulla vita di chi ha una laurea in legge, ma su tutti i cittadini?

In secondo luogo, ci sono argomenti che trascendono l’appartenenza alla mera tematica trattata e abbracciano aspetti culturali più ampi, come l’etica e la filosofia, che non possono essere precluse a nessuno.

Infine, la pretesa di far parlare solo gli esperti laureati in materie aderenti al tema trattato stride con quanto gli stessi tifosi di questa follia hanno applaudito durante la pandemia, quando venivano messi a tacere e alla gogna esperti. Anche premi Nobel.

Non invitare scienziati o medici nei talk show perché le loro opinioni non collimavano con il pensiero dominante è un atto che richiama proprio quell’intolleranza verso il dissenso che caratterizza il fascismo.

POVIA, NICHELINO E IL FASCISMO CONTEMPORANEO

Il caso di Povia, escluso dalla giuria di un evento a Nichelino per decisione del sindaco, è un altro esempio di questa tendenza.

Non si tratta solo di una scelta discutibile, basata su argomentazioni che sono un pericolo per la democrazia, ma di una vera e propria discriminazione basata su una differenza di opinioni che dimostra come anche chi fa parte di partiti che affondano le radici nell’antifascismo possa adottare pensieri e comportamenti fascisti.

Questo è un fascismo nascosto e ancora più subdolo, perché non è riconosciuto tale, un fascismo che non si mostra in divise militari, ma in scelte amministrative e culturali che limitano la libertà di espressione secondo la logica per cui “o la pensi come me e i miei simili, oppure in questa zona non lavori.”

Il medesimo comportamento che portò all’affermazione del fascismo mussoliniano.

Circostanza che dimostra come a esprimere buone idee o pessimi comportamenti, persino fascisti, possa essere chi veste nero e chi rosso, perché non è questione di destra o di sinistra, ma di spirito democratico oppure no, qualunque sia il partito d’appartenenza.

LE DISCRIMINAZIONI CAUSATE DAL GREEN PASS

Le discriminazioni vissute durante l’epoca del Green Pass si leggono sotto questa lente.

La narrazione a senso unico imposta dai media e dai governi, che ha portato alla marginalizzazione di chiunque osasse dissentire, ha creato una forma di apartheid sociale, certificata dalle recenti confessioni e scuse di Mark Zuckerberg, patron di Meta, che ha raccontato come sia stato “costretto” dalla politica a censurare post veri sulla sua piattaforma.

Chi non si conformava veniva escluso, emarginato, visto come una minaccia al “bene comune”, che si trattasse dell’amico, del collega, dello zio o del fratello.

Ecco cos’è il fascismo: l’imposizione di un’unica verità e la soppressione di ogni deviazione dal dogma.

Le stesse rivelazioni di Mark Zuckerberg riguardo alle pressioni ricevute da Meta per censurare i post contrari al pensiero dominante sono un esempio di come il fascismo possa mutare forma e di come oggi sia più vivo e diffuso che mai.

Quando il potere politico cerca di influenzare le piattaforme di comunicazione per modellare il discorso pubblico secondo i propri interessi, si rischia di scivolare verso una forma di totalitarismo digitale.

Questo è un fascismo dei nostri tempi, meno visibile ma altrettanto pericoloso, perché dimostra che i potenti e quello che potremmo definire “sistema” teme il pluralismo delle opinioni.

Infatti, molti politici sostengono che i social network siano pericolosi e andrebbero limitati poiché hanno alimentato la sfiducia verso politici e istituzioni, come se le discriminazioni sociali e i DPCM retti a suon di fake news fossero colpa dei social e non della politica.

Come se le intimidazioni a Meta fossero colpa di Zuckerberg e dei suoi dipendenti e non della politica e del sistema.

Il sospetto è che il “sistema” teme i social perché non possono essere controllati come la stampa classica, le radio e le televisioni, che devono seguire linee dettate dai partiti e/o dai proprietari.

Al contrario, i social sono degli utenti, che possono proporre tesi e argomentazioni diverse a quelle concordate a tavolino dal “sistema”.

IL FASCISMO È UN FENOMENO “TRANSI-STORICO”?

Come abbiamo visto, il fascismo non può essere confinato alla storia o a una specifica ideologia politica.

Non appartiene a Mussolini o a qualche partito di destra, ma è una mentalità, un atteggiamento che si manifesta ogni volta che le libertà di pensiero e di espressione vengono soppresse in nome di un presunto bene superiore.

Riconoscere il fascismo in queste nuove forme è essenziale per combatterlo, perché il fascismo, come un virus, può adattarsi, mutare e riemergere sotto nuove spoglie, come abbiamo ampiamente dimostrato in questo breve articolo.

È compito di ciascuno di noi vigilare e difendere la libertà contro queste insidiose manifestazioni, perché possono provenire da qualunque parte politica.

Anche da chi si professa antifascista nel DNA e poi vieta a Povia di lavorare contravvenendo persino alle regole della Costituzione, che vietano la discriminazione per idee e opinioni differenti.

Ora, ti rinnovo la domanda del titolo: tu sei antifascista? Ma sei anche un antifascista vero?

Perché per l’antifascista vero La libertà di opinione è il termometro che distingue una democrazia da una dittatura.

Per un antifascista vero, regolamentare la libertà di opinione equivale a regolamentare il numero massimo di respiri giornalieri, poiché aria e libero pensiero sono bisogni primari.

Per un antifascista vero, qualsiasi “ma” e “se” ha il fetido sentore di fascismo e di fascista.

di Pasquale Di Matteo.

Pasquale Di Matteo tiene una conferenza a Osaka su arte e cultura
Critico d'arte Pasquale Di Matteo

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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