La democrazia condizionata: perché non accettiamo il dissenso?
L’elezione di Donald Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti ha provocato una prevedibile onda di indignazione tra i suoi detrattori, ma ciò che colpisce maggiormente non è tanto la polarizzazione – ormai un fenomeno endemico nelle democrazie occidentali – quanto la reazione di alcune figure pubbliche che, anziché affrontare il risultato democratico, preferiscono abbandonare la scena .
È notizia recente che alcuni VIP starebbero lasciando X (il social network precedentemente noto come Twitter) per protestare contro un ambiente che percepiscono come ostile o, addirittura, inquinato.
Questa scelta, sebbene legittima, solleva interrogativi più profondi su cosa sia democrazia e cosa non lo sia.
Come mai, in una società che si definisce democratica, sembra diventare sempre più difficile accettare che la maggioranza possa pensarla diversamente?
La fragilità della democrazia nella società moderna
Il sociologo Zygmunt Bauman, nel descrivere la modernità liquida , sottolinea come le società contemporanee siano caratterizzate da un’indeterminatezza crescente, in cui valori, credenze e strutture si consolidano si dissolvono.
Questo processo, anziché favorire l’accettazione del pluralismo, ha prodotto una paradossale rigidità intellettuale: la necessità di ancorarsi a certezze, spesso ideologiche, per contrastare la sensazione di smarrimento.
Perciò, si genera il desiderio di appartenenza a un gruppo, dove quel gruppo diventa l’intero universo.
La democrazia, per sua natura, è un sistema fragile: richiede la capacità di convivere con il dissenso, di accettare che le decisioni collettive non riflettano necessariamente le proprie convinzioni.
Ma quando le identità personali e collettive si fondano sempre più su convinzioni politiche e morali, la vittoria dell’“altro” non è più percepita come l’esito legittimo scaturite dalle regole della democrazia, bensì come una minaccia esistenziale.
Il ruolo della psicologia sociale
La psicologia sociale fornisce ulteriori strumenti per comprendere questo fenomeno.
Uno dei concetti più rilevanti è quello di bias di conferma, ovvero la tendenza delle persone a cercare informazioni che conferiscono le proprie convinzioni, evitando o delegittimando quelle che le mettono in discussione.
Questo pregiudizio è amplificato dai social media, che grazie agli algoritmi di personalizzazione creano vere e proprie bolle di filtraggio .
Queste bolle non solo rafforzano le convinzioni individuali, ma rendono estremamente difficile accettare il punto di vista opposto, perciò, quando un evento come l’elezione di Trump rompe questa bolla, la reazione è spesso emotiva: negazione, rabbia, e, in casi estremi, fuga dal confronto.
Situazioni aumentate esponenzialmente ed esacerbate dal comportamento dei mezzi d’informazione, che, da tempo, hanno smesso di informare e sono diventati voce del miglior offerente.
Nel caso delle elezioni americane, infatti, il megafono avuto da Kamala Harris era tale per cui l’ormai ex vicepresidente degli USA sembrava destinata a essere la prima presidente donna americana, mentre Trump era destinato alla sconfitta.
Elemento che ha aumentato la temperatura rigida della doccia fredda dopo che il mondo reale ha polverizzato ogni notizia della propaganda.
Il cortocircuito tra democrazia e moralità
C’è poi un aspetto ancora più profondo: la crescente moralizzazione del dibattito politico.
Come spiegano Jonathan Haidt e altri studiosi della psicologia morale, molti individui percepiscono le proprie convinzioni politiche non solo come scelte razionali, ma come riflessi di una superiorità etica.
Situazione che, soprattutto in una parte politica, è piuttosto nota.
Questo trasforma il dissenso in un’offerta morale, anziché in una normale dinamica democratica.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno offerto esempi emblematici di questo cortocircuito.
Chiunque osasse mettere in discussione la narrazione dominante – anche se docente universitario di medicina e/o luminare scientifico con esperienza sul campo – veniva rapidamente etichettato come novax, complottista o putiniano.
Al posto delle loro opinioni, venivano accettate quelle di opinionisti alla Cecchi Paone e perfino di medici che non erano mai riusciti a superare un solo concorso per insegnare in Università e che pagano i propri spazi in televisione.
Intanto, non c’è spazio per il dubbio, perché il dubbio è percepito come un attacco ai valori fondamentali della propria identità.
Cosa significa davvero democrazia?
La democrazia non è solo un sistema di governo: è una pratica culturale.
Richiede di riconoscere la legittimità del dissenso, anche quando esso sfida le proprie convinzioni più profonde.
Ma ciò richiede maturità intellettuale ed emotiva, qualità che sembrano sempre più rare in un’epoca dominata da reazioni istintive e dall’intolleranza verso il conflitto cognitivo.
La scelta di abbandonare un social network come forma di protesta contro un ambiente “ostile” è simbolica di questa tendenza e dimostra l’immaturità endemica di quest’era.
Non si combatte il dissenso, lo si ignora. Proprio come farebbe un bambino.
Non si accetta il confronto, lo si evita. Proprio come fanno i codardi e quelli che non hanno argomentazioni.
E così facendo, si rinuncia a quella che è la componente più importante della democrazia: il dialogo.
Conclusioni: un ritorno al pluralismo
Per preservare la democrazia, dobbiamo rivalutare il nostro rapporto con il dissenso, con il confronto, il dibattito, il dialogo.
Questo significa abbandonare l’idea che la vittoria della parte opposta rappresenti una catastrofe e accettare che la maggioranza può, e deve, avere il diritto di decidere – anche quando le sue decisioni non ci piacciono.
Perché il vero problema non è Donald Trump. Non lo è neppure Elon Musk, chi li sostiene o il social network di turno.
Il vero problema siamo noi: la nostra crescente incapacità di accettare che il mondo non ruoti attorno alle nostre convinzioni.
Forse è giunto il momento di abbandonare le nostre bolle e tornare ad accettare gli spazi di confronto da cui fuggiamo come bambini viziati.
Una democrazia non può sopravvivere senza pluralismo. E un pluralismo vero, genuino e autentico richiede di riconoscere, e rispettare, il diritto degli altri a pensarla diversamente.
PROSSIMA USCITA

