LA PRESA DI DAMASCO: QUANDO IL GIORNALISMO DIVENTA PROPAGANDA

IL DECLINO DELL’INFORMAZIONE ITALIANA E L’INCHINO ALLA PROPAGANDA

La recente presa di Damasco da parte di gruppi terroristici islamici non è solo una tragedia umana e geopolitica, ma soprattutto il simbolo di una deriva mediatica che dovrebbe allarmare chiunque creda ancora nella nobile funzione dell’informazione.

Invece di denunciare l’avanzata di gruppi che hanno seminato morte e distruzione per oltre un decennio, una parte della stampa italiana ha trasformato questa tragedia in un’occasione per celebrare la presunta debolezza di Mosca e di Vladimir Putin. Per dimostrare che avevano ragione loro, quando ci parlavano di soldati russi costretti a utilizzare pale e microchip rubati alle lavastoviglie degli ucraini perché la Russia non aveva più soldi per le munizioni.

Il risultato?

Un applaudire, nemmeno troppo velato, al terrorismo.

Uno spettacolo indecoroso che rivela quanto il giornalismo italiano stia assomigliando sempre più alla propaganda da quattro soldi tipica delle peggiori dittature. Anche di quella Russia tanto odiata.

Non importa il contesto, non importa il prezzo umano: tutto viene distorto e sacrificato sull’altare della lotta ideologica in cui l’Occidente è buono e tutti gli altri sono cattivi. Sempre e comunque.

SIRIA: UN DECENNIO DI GUERRA E LA NASCITA DI NUOVE FAZIONI TERRORISTICHE

L’EREDITÀ DI UNA GUERRA CIVILE SENZA FINE

Per capire la gravità di quanto accaduto a Damasco, è necessario ripercorrere brevemente la storia della Siria negli ultimi dieci anni.

Dal 2011, il Paese è stato dilaniato da una guerra civile iniziata come parte delle rivolte della cosiddetta Primavera Araba.

Quello che inizialmente sembrava essere un movimento di protesta contro il regime autoritario di Bashar al-Assad si è rapidamente trasformato in un conflitto armato, con la proliferazione di gruppi ribelli, molti dei quali sostenuti da potenze esterne con interessi divergenti, tanto che, di fatto, la Siria è diventata una sorta di nuovo Afghanistan anni Ottanta, in cui ci fu una delle tante guerre tra URSS e Nato della storia, combattute per lo più da gruppi di terroristi locali, creati, addestrati, armati e finanziati dalla Cia, come abbiamo imparato con Al Qaeda.

Il vuoto di potere e la frammentazione del territorio siriano hanno creato un terreno fertile per la nascita e la crescita proprio di gruppi jihadisti.

Tra questi, l’ISIS (Daesh) è stato il più noto, ma non certo l’unico.

Organizzazioni come Jabhat al-Nusra, inizialmente affiliata ad Al-Qaeda, hanno giocato un ruolo cruciale nell’instabilità della regione, fino all’escalation improvvisa, ma non proprio così tanto, di questi ultimi giorni.

L’ASCESA E LA TRASFORMAZIONE DI JABHAT AL-NUSRA

Jabhat al-Nusra è stata fondata nel 2012 come braccio siriano di Al-Qaeda.

Tuttavia, con il passare del tempo, si è distanziata formalmente dall’organizzazione madre, cambiando nome in Jabhat Fatah al-Sham nel 2016, anche se questo cambio di nome e di identità è stato parte di una strategia più ampia per conquistare maggiore legittimità a livello locale e internazionale, senza che, tuttavia, sia cambiata la sostanza.

L’organizzazione resta terroristica come Al Qaeda, senza se e senza ma.

Questi gruppi jihadisti si sono evoluti, adattandosi alle circostanze e sfruttando il caos della guerra per consolidare il loro potere. Non soltanto della guerra combattuta in Siria, ma anche della guerra in Ucraina, che ha sottratto forze e attenzione dell’alleato numero uno di Assad, ovvero Putin.

Oggi, la presa di Damasco rappresenta l’apice di questa strategia: un simbolo di forza che manda un messaggio chiaro alla comunità internazionale, ma anche alle fazioni interne alla Siria.

Ma siamo sicuri che la presa di Damasco sia dovuta alle strategie dei terroristi?

LA RISPOSTA DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE: TRA SILENZI E CALCOLI POLITICI

Il ruolo delle potenze mondiali nella crisi siriana è sempre stato ambiguo, se non ipocrita.

Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno sostenuto alcuni gruppi ribelli, ignorando il fatto che molti di questi avevano legami diretti o indiretti con organizzazioni jihadiste, persino con Al Qaeda, che, fino all’avvento della pandemia, riempiva le prime pagine dei quotidiani come nemico numero uno dell’Occidente.

Tanto che, quando la Russia è intervenuta militarmente nel 2015 per sostenere il regime di Assad, la stampa occidentale ha presentato Putin come baluardo contro il terrorismo islamico.

L’Europa, dal canto suo, ha oscillato tra la denuncia retorica e una politica di accoglienza dei rifugiati, senza però riuscire a sviluppare una strategia coerente per affrontare le radici del conflitto.

Cosa che non sorprende, visto che, anche con la guerra in Ucraina, abbiamo compreso quanto l’Europa non esista, se non come accozzaglia di stati zerbini dei capricci dell’America.

VITTORIA SOSPETTA IN SIRIA

La cosa che, tuttavia, balza all’occhio, è il fatto che questi terroristi si siano svegliati improvvisamente, dopo mesi di sostanziale stasi.

Viene il sospetto che siano stati ulteriormente armati e supportati – forse addirittura guidati – da forze esterne.

D’altronde, tutti sappiamo come la Cia abbia agito più volte in tal modo, in giro per il mondo, in Asia, in Africa, in Sudamerica e persino in Europa.

Sappiamo anche che la Nato ha perso la guerra in Ucraina contro la Russia e che non esiste più nessuna possibilità che l’Ucraina possa riprendere i territori conquistati da Putin in questi quasi undici anni di guerra – tre se consideriamo solo il periodo dell’invasione.

Favorire la conquista della Siria da parte dei terroristi diventa un modo per portare qualcosa di concreto al tavolo delle trattative, dove Putin avrà il coltello dalla parte del manico.

Sembra talmente ovvio che fa specie il modo imbarazzante con cui tanti pennivendoli italiani al soldo della propaganda atlantica stiano gioendo per un fatto drammatico per tutta la popolazione siriana.

DOVE STA ANDANDO IL MONDO? GLI SCENARI FUTURI

La presa di Damasco apre scenari inquietanti per il futuro.

1. UN NUOVO EPICENTRO DI INSTABILITÀ

Damasco, come capitale, ha un valore simbolico immenso. La sua caduta nelle mani dei terroristi potrebbe ispirare altri gruppi jihadisti in Medio Oriente e oltre. Potrebbe diventare un nuovo epicentro di instabilità, con ripercussioni a catena in tutta la regione.

Fa specie che si gioisca per la vittoria dei terroristi in Siria, quando fino al giorno prima si denunciavano le atrocità dell’Iran, di Al Qaeda e di altre forme di governi e milizie terroriste.

2. IL RISCHIO DI UNA NUOVA ONDATA MIGRATORIA

La rinnovata instabilità in Siria rischia di generare una nuova ondata di profughi verso l’Europa, mettendo ulteriormente alla prova i fragili equilibri politici e sociali del Vecchio Continente, dove i cittadini sono allo stremo e il rischio di vedere esplodere sommosse è tutt’altro che remoto.

3. LA GUERRA DELLA PROPAGANDA

Il conflitto siriano non è solo una battaglia sul terreno, ma anche una guerra di pensieri unici.

La propaganda che dipinge la crisi come una sconfitta per Putin non fa altro che alimentare divisioni politiche a livello planetario, allontanando ogni possibilità di una soluzione concertata, poiché – è assai probabile – il caos è funzionale agli interessi dell’Occidente.

O, almeno, a una parte dell’Occidente.

IL GIORNALISMO COME GUARDIANO DELLA VERITÀ

Questa crisi non è solo una prova per i leader mondiali, ma anche per il giornalismo, soprattutto per ciò che resta del giornalismo italiano.

L’informazione dovrebbe essere il baluardo contro la disinformazione e il cinismo geopolitico. Ma quando i giornalisti applaudono al terrorismo per servire una narrativa ideologica, tradiscono il loro ruolo fondamentale, che dovrebbe essere informare, non manipolare.

La presa di Damasco è una tragedia sotto ogni punto di vista e, mentre quel Paese continua a sprofondare nel caos, il pubblico italiano si merita una stampa capace di analizzare i fatti con onestà e competenza, senza piegarsi alla logica perversa della propaganda.

L’ORGANIZZAZIONE TERRORISTICA “VICINA” AD AL QAEDA CONTROLLA DAMASCO E ALCUNI GIORNALISTI ITALIANI FESTEGGIANO?!?!

La Siria è nelle mani dei terroristi islamici vicini ad Al Qaeda e cosa succede?

Invece di indignarsi per la tragedia umana, per la violenza e per l’ennesimo colpo inferto alla stabilità del Medio Oriente, certi giornalisti italiani applaudono.

Sì, applaudono.

Perché?

Perché, nella loro contorta narrativa, dopo non averne azzeccata mezza in Ucraina, tra le mille panzane di sanzioni dirompenti e soldati russi che combattevano solo con le pale, la vittoria dei terroristi in Siria sarebbe una “grande notizia” in quanto dimostrerebbe che Putin e Mosca sono “finalmente” in difficoltà.

Un applauso al terrorismo per dire “visto che non avevamo torto, eh…?”, per farla breve.

Uno squallido inchino alla logica perversa del “nemico del mio nemico è mio amico”. Logica sempre cara a Cia & Nato, che, infatti, hanno creato, finanziato e addestrato gente come Osama Bin Laden, quando faceva comodo contro l’URSS, salvo scoprire quanto abbiamo appreso negli ultimi decenni su Al Qaeda.

In un mondo normale, l’informazione dovrebbe raccontare la realtà: un evento di questa portata merita un’analisi lucida, che tenga conto dei drammi umani dei siriani, delle implicazioni geopolitiche e dei rischi di una nuova onda di destabilizzazione.

Ma oggi, in una stagione più oscura che cupa per il giornalismo italiano, la verità è sacrificata sull’altare della propaganda da quattro soldi.

Ci siamo ridotti a una cronaca che sembra uscita dai manuali delle più misere dittature, dove il giornalismo non informa, ma distorce. Dove la realtà non conta, perché conta solo far passare una certa narrativa.

Perciò, se la Corte Penale Internazionale chiede l’arresto di Putin, tutti pronti ad applaudire, ma appena si azzarda a chiedere l’arresto di altri criminali, come Netanyahu, apriti cielo.

La CPI non è più baluardo del Diritto internazionale, ma addirittura un gruppo di giudici rompipalle.

Se in Romania, Georgia e in altre nazioni vince le elezioni un politico che non piace agli americani, ecco che si fa di tutto per parlare di brogli, di intromissioni russe e di altre panzane.

La libertà dell’informazione è ormai una farsa.

La deontologia?

Un ricordo lontano.

Si applaude al terrorismo non per ignoranza, – beh, spesso sembrerebbe anche per quella – ma con la malizia di chi è disposto a ogni orrore pur di non ammettere di aver sbagliato.

Perché si crede che tutto sia lecito, purché serva a gettare fango su un nemico ideologico.

Dove sono finiti il ​​giornalismo serio e il coraggio di raccontare i fatti?

L’Italia non merita di più rispetto a questo tipo di giornalismo in stile 1984 di Orwell?

Pasquale Di Matteo, scrittore, critico d'arte internazionale, esperto di comunicazione e rappresentante italiano della società giapponese Reijinsha

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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