TERRORISMO E IPOCRISIE OCCIDENTALI: IL FILO ROSSO TRA IL MEDIORIENTE E LE PIAZZE D’EUROPA

La tragedia di Magdeburgo è solo l’ultimo tassello di una lunga catena di sangue che unisce il cuore dell’Europa a un passato di violenze, ingerenze e tragedie maturate nel Medio Oriente.

Un’auto scura, un mercatino di Natale, due vite spezzate – una delle quali un bambino – e decine di feriti: così, in pochi istanti, il calore delle luci natalizie si è trasformato in un incubo.

Un cittadino saudita di 50 anni, medico in Germania, non certo un balordo da ghetti e quartieri malfamati, ha noleggiato un’auto con cui ha percorso 400 metri a zigzag tra le bancarelle del mercatino di Natale, seminando morte e terrore.

Un atto definito subito come “terroristico”, ma le motivazioni profonde che hanno fatto scattare quest’atto restano ancora avvolte nella nebbia.

I motivi sono da ricercare in Medio Oriente? C’entrano le imminenti elezioni in Germania, dove i partiti che perseguono politiche guerrafondaie sono in seria difficoltà?

L’EREDITÀ DI BERLINO E IL FILO ROSSO DEL TERRORE

Magdeburgo è un nome che, d’ora in poi, evocherà ricordi dolorosi, proprio come Berlino dal 2016.

Era il 19 dicembre di quell’anno quando un camion travolse la folla del mercatino di Natale a Breitscheidplatz, uccidendo 13 persone, tra cui una donna italiana, Fabrizia Di Lorenzo.

L’attentatore, un tunisino di nome Anis Amri, era un prodotto della radicalizzazione islamista, ma anche delle disastrose politiche occidentali che, da decenni, incendiano il Medio Oriente e alimentano quell’odio che è il vero motore del terrorismo.

COLONIALISMO E GUERRE: LE RADICI DEL MALE

Per comprendere ciò che avviene oggi sulle nostre strade, nei nostri quartieri, spesso persino con aggressioni nelle nostre case, bisogna guardare indietro e non soffermarci sull’atto contemporaneo.

La storia ci ricorda che l’Occidente ha seminato il caos in Medio Oriente ben prima che il terrorismo bussasse alle nostre porte, prima con le battaglie crociate, poi con il colonialismo europeo, che si è spento solo dopo la seconda metà del secolo scorso, tracciando confini artificiali, dividendo etnie e gruppi culturali e distruggendo identità di interi popoli.

Solo che studiare la storia non è di moda da tempo, in Occidente.

La Palestina è diventata un terreno di conflitto infinito a causa delle promesse contraddittorie fatte a ebrei e arabi e a decisioni prese a tavolino da gentiluomini in doppio petto che creano e disfano guerre in sale lussuose e mandano giovani al fronte. Ovviamente, quasi mai i loro.

L’invasione dell’Iraq nel 2003 – giustificata con la menzogna delle armi di distruzione di massa – ha aperto le porte al caos, dando linfa all’Isis. (Puoi approfondire sulla bufala delle armi chimiche di Saddam qui)

Ma non è tutto: l’Afghanistan è stato trasformato in un laboratorio del terrore già ai tempi della guerra contro l’URSS, dove Al Qaeda è stata finanziata e addestrata per combattere i sovietici, composta da quelli che venivano definiti valorosi combattenti, salvo poi rivoltarsi contro i suoi stessi creatori.

Certo, qualcuno, a questo punto, potrebbe domandarsi: «Ma perché noi occidentali dobbiamo pagare un prezzo se i mediorientali sono perennemente in guerra tra di loro?»

Domanda che dimostra la maturità del bambino che non vince, allora si stanca di giocare e porta via il pallone, dicendo «basta, io non gioco più.»

La politica dovrebbe essere cosa da persone adulte. Ahinoi, visti i disastri che siamo riusciti a compiere, il condizionale è d’obbligo.

Proprio perché tanti politici occidentali si sono comportati – e si comportano – come quel bambino, come se gli altri dovessero adeguarsi a comando ai nostri capricci. Vogliamo persino decidere noi quando loro devono cancellare l’odio.

Ma cosa facciamo per agevolarli?

ISRAELE, GAZA E LE CONTRADDIZIONI DELL’OCCIDENTE

Oggi, mentre ci indigniamo per i camion che falciano innocenti in Europa, chiudiamo un occhio – anzi, entrambi – sul genocidio in Palestina e definiamo gli attacchi israeliani a Gaza come “legittima difesa”, quando sono massacri e crimini contro l’umanità, come stabilito dalla Corte Penale Internazionale.

Sì, proprio quella che “ristabilisce la dignità del diritto internazionale”, quando chiede l’arresto di Putin, ma diventa un gruppo di “giudici che vogliono farsi notorietà, facendo politica”, quando spiccano un mandato d’arresto anche per Netanyahu e per un suo ministro.

Gaza, Cisgiordania e Libano sono teatri di sofferenze che l’Occidente preferisce ignorare, perché generati dall’idea di esportazione della democrazia e di controllo di quell’area maturata da Europa e America.

Tant’è vero che, quando i terroristi dell’Isis sono utili alle mire geopolitiche – in Afghanistan ieri, come in Siria oggi – diventano improvvisamente “valorosi combattenti” e partner tollerabili. Qualcuno ha avuto persino l’ardire di definirli democratici.

Una schizofrenia morale che alimenta rabbia e violenza.

GLI ATTACCHI DEL 2024: UNA LUNGA SCIA DI SANGUE

Ma il 2024 non sarà ricordato in Germania solo per il 20 dicembre.

Prima di Magdeburgo, infatti, Solingen ha pianto tre vittime accoltellate durante una festa cittadina; a Mannheim, un poliziotto è stato ucciso durante una manifestazione anti-islamica e, ancora: attacchi con coltello durante gli Europei di calcio, omicidi nei campi sportivi, aggressioni a Stoccarda e Wolmirstedt.

Ogni episodio è un tassello di un mosaico fatto di odio, radicalizzazione e fallimento sociale, ma anche di politiche poco oculate, sia interne, sia estere.

INCLUSIONE O DEMAGOGIA?

Ma come si ferma questa spirale?

Non con muri, non con proclami vuoti, ma serve una riflessione collettiva seria e senza preclusioni.

L’Occidente deve guardarsi allo specchio e riconoscere le proprie responsabilità, prima di ogni altra cosa, altrimenti non sarà diverso da un qualunque adolescente viziato convinto che a sbagliare siano sempre gli altri.

Abbiamo destabilizzato intere regioni, e lo abbiamo fatto per secoli. Abbiamo creato mostri e poi ci siamo indignati quando questi hanno bussato alla nostra porta per chiedere conto dei disastri che abbiamo creato nelle loro terre, alle loro famiglie, al futuro dei loro figli.

Certamente, avere in casa potenziali mine vaganti è un dettaglio che non può essere ignorato da chi fa politica, perché se persino un rispettabile medico può diventare un terrorista assassino, le politiche migratorie e di accoglienza vanno radicalmente riviste per la sicurezza dei popoli e dei confini interni.

Ma ciò non può prescindere da una profonda analisi dei disastri compiuti in Medio Oriente dall’Occidente, che ancora oggi approva mattanze e genocidi, se a compierle sono amici e alleati. O se siamo noi stessi.

IL SILENZIO NON È UNA SOLUZIONE

Di fronte a tragedie come quella di Magdeburgo, non possiamo restare inermi.

La condanna deve essere unanime, ma anche il dibattito deve essere profondo e stimolare le idee e l’ascolto da parte di tutti, da qualunque punto di vista.

Non basta commiserare le vittime e indignarci; dobbiamo comprendere le cause, smascherare le ipocrisie e lavorare per un mondo più giusto, in cui non ci sia chi decide che le materie prime di un territorio siano motivi per scatenare ogni follia di guerre e sommosse per accaparrarsele o per non lasciare che diventino di proprietà di paesi avversari.

Altrimenti, saremo destinati a vivere in attesa del prossimo attentato, incapaci di spezzare il circolo vizioso della violenza.

In attesa del prossimo attentato per cui piangere, restando costernati, a chiederci perché, ma ancora incapaci di voler rispondere a quelle domande.

Questa è la lezione che ci lascia Magdeburgo.

Sta a noi decidere se impararla o continuare a ignorarla.

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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