L’OCCIDENTE E L’ILLUSIONE DI VINCERE IN UCRAINA: TRE ANNI PER ACCORGERSI DELL’OVVIO

di Pasquale Di Matteo

Il 22 dicembre, La Stampa ha pubblicato l’articolo “L’impossibilità di vincere in Ucraina riporta l’Occidente alla realtà dei fatti”, di Domenico Quirico.

Meglio tardi che mai, direbbe qualcuno, visto che, soltanto dopo quasi tre anni, anche i quotidiani del mainstream si rendono conto di quanto fosse palese già a febbraio 2022: una superpotenza nucleare non può essere sconfitta militarmente.

UNA VERITÀ CHE NESSUNO VOLEVA AMMETTERE

Tre anni.

Tanto è servito a buona parte dell’opinione pubblica occidentale per accorgersi di ciò che alcuni, tra cui chi scrive, avevano previsto già nel 2022, quando parlare di impossibilità di una vittoria militare contro la Russia significava essere etichettati come “putinisti”, “disfattisti” o “anti-occidentali”.

Oggi, persino un autorevole quotidiano come La Stampa lo riconosce: l’Occidente non può vincere la guerra in Ucraina.

Lo fa in un articolo intitolato “L’impossibilità di vincere in Ucraina riporta l’Occidente alla realtà dei fatti”, un pezzo che, finalmente, sgombra il campo dalle illusioni belliciste e ci riporta su un terreno di realismo geopolitico.

Nella speranza di non dover sentire di nuovo personaggi come Nathalie Tocci e tanti altri affermare che il Prof. Orsini, come il sottoscritto, non dovrebbe parlare di questa situazione poiché non è stato in Ucraina o in Russia, un po’ come dire ad Alessandro Barbero che non dovrebbe raccontarci i Greci e i Romani perché non ha vissuto quell’epoca.

Lo so, è folle e bislacco, ma, fino a ieri, era la tesi imperante di media e tanti eroi da tastiera.

Ora arriva l’ammissione tardiva di un fallimento annunciato: pensare di piegare militarmente una superpotenza nucleare come la Russia era, è, e resterà un’utopia.

Così come lo era per Cuba nel 1962 contro gli Stati Uniti.

L’UTOPIA DI UNA VITTORIA MILITARE

Nessuna potenza dotata di un arsenale atomico, come la Russia, potrà mai accettare di perdere una guerra senza ricorrere a tutte le armi a sua disposizione e questo principio era evidente già ai tempi della Guerra Fredda, ma è stato spazzato via dall’ondata emotiva che ha invaso i dibattiti occidentali dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Dibattiti in cui chiunque osasse mettere in discussione la narrazione occidentale veniva immediatamente etichettato come agente della propaganda di Putin.

Chi scrive, già nel 2022, evidenziava come l’obiettivo di una “vittoria totale” dell’Ucraina fosse una chimera, ma, fino all’altro ieri, prevalevano i facili slogan: “L’Ucraina deve vincere e la Russia deve ritirarsi da Donbas e Crimea”.

Frasi a effetto che ignoravano i rischi di un’escalation nucleare e la realtà di una guerra che, come tutte le guerre, si sarebbe conclusa non sul campo di battaglia ma al tavolo delle trattative.

Potevamo farlo tre anni fa, invece abbiamo illuso gli ucraini che, ora, nella fascia tra i 25 e i 25 anni, contano centinaia di migliaia di morti e mutilati.

L’OCCASIONE MANCATA DELLA DIPLOMAZIA

L’Occidente ha scelto di ignorare la diplomazia come strumento principale per risolvere il conflitto e ha puntato tutto su un’escalation militare, rifornendo Kiev di armi e alimentando l’illusione che fosse possibile una vittoria sul campo contro Mosca.

La realtà, purtroppo, ha presentato un conto da pagare a Kiev drammatico.

Anche le guerre più sanguinose e ideologicamente divisive, alla fine, si risolvono con negoziati e compromessi e quella diplomazia considerata da molti un segno di debolezza avrebbe salvato la vita a tanti giovani ucraini che non ci sono più ed evitato la devastazione dell’Ucraina.

IL COSTO UMANO DI UNA GUERRA INUTILE

Calcoli che non siano dettati dalla propaganda occidentale o da quella di Mosca parlano di circa 500.000 giovani ucraini morti o resi invalidi, milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, intere città ridotte in macerie.

La popolazione ucraina è scesa da poco meno di 38 milioni a circa 27 milioni di abitanti.

A chi ha giovato tutto questo?

Chi trae vantaggio dalle politiche guerrafondaie dell’Occidente, a cominciare dall’allargamento della Nato, che, dalla caduta del Muro di Berlino a oggi, ha raggiunto i confini della Russia?

Certamente non al popolo ucraino, né a quello russo: l’Ucraina è un Paese le cui infrastrutture sono al collasso, la popolazione è dilaniata e l’economia è al tappeto; il popolo russo soffre la crisi dovuta alla guerra.

Una guerra che ha dimostrato, una volta di più, che i costi di un conflitto non li pagano i governi che lo stabiliscono, né i paesi alleati che hanno obiettivi geopolitici più o meno dichiarati, ma le famiglie che perdono i loro figli, le comunità che vedono scomparire le loro case, e le città che restano devastate.

LA RICOSTRUZIONE: UNA PARTITA TUTTA DA GIOCARE

Ora si parla di ricostruzione, come se fosse un semplice problema economico o logistico, ma la ricostruzione dell’Ucraina non sarà solo una questione di cemento e investimenti, perché richiederà un lavoro profondo per riparare il tessuto sociale e politico di un Paese lacerato dalla guerra.

Gli ucraini sono stati ingannati dall’Occidente, usati come carne da macello in una guerra che gli Stati Uniti hanno combattuto per procura contro la Russia, in nome di fini geopolitici, a cominciare dal gas in Europa, che era diventato un monopolio russo e aveva estromesso gli USA dall’affare.

Questa ricostruzione, però, non può avvenire senza un’ammissione di responsabilità.

L’Occidente, che ha alimentato il conflitto rifornendo armi e illudendo Kiev di una possibile vittoria totale, deve ora contribuire non solo con i fondi, ma con un reale impegno diplomatico per garantire che tragedie simili non si ripetano.

Non si può far finta di nulla, come se non fosse accaduto niente, ma bisognerà mandare al banco degli imputati tutti i governi, i giornalisti, gli analisti e i pennivendoli da tastiera che hanno cavalcato l’escalation.

Ma è inutile illudersi: gli stessi che hanno alimentato questo disastro sono già pronti ad arricchirsi con le commesse per la ricostruzione. Sia personaggi ucraini vicini a Zelensky sia politici della Nato.

LA LEZIONE CHE NON IMPARIAMO MAI

Continuare a puntare sulla forza militare come unica soluzione ai conflitti internazionali non è solo inefficace, ma è pericoloso.

Già nel 2022 era evidente che la guerra in Ucraina sarebbe stata un pantano senza uscita per tutti gli attori coinvolti. Lo dicevamo in pochi, eravamo ridicolizzati, definiti codardi, come se il buonsenso e la cultura potessero essere misurati con il coraggio.

Ora, persino voci autorevoli ammettono la realtà dei fatti.

Ma chi risarcirà le vittime di questa guerra?

Chi pagherà per i tre anni di errori, sofferenze e distruzioni?

Chi avrà il coraggio di dire che Biden e i suoi amici immaginari, così come i paesi della Nato, i loro governi e i loro analisti, si sono sbagliati?

Non serve girarci intorno: l’Occidente non ha perso solo contro la Russia, ma ha perso contro sé stesso.

Ha perso la propria credibilità e ha perso la faccia. Ha perso l’occasione di dimostrare una vera superiorità morale e politica, preferendo credere alle fantasie veicolate dai film hollywoodiani, finendo sconfitto dalla realtà dei fatti.

Come ha scritto Domenico Quirico sulla Stampa, “l’impossibilità di vincere in Ucraina riporta l’Occidente alla realtà dei fatti”.

Una realtà che chi scrive aveva ben chiara già tre anni fa, come post e articoli degli ultimi anni confermano.

Ma si sa, in geopolitica, come nella vita, i fatti arrivano sempre dopo gli slogan, i sorrisi e le offese dei soliti pennivendoli della propaganda.

E, purtroppo, anche dopo i disastri che contribuiscono a compiere.

Le Menti Invisibili, è il nuovo romanzo di Pasquale Di Matteo

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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