L’idea di “dare superpoteri” a tutti con l’Intelligenza Artificiale è seducente. Ma è anche ingenua. E, in molti casi, pericolosa.
Mettere l’AI nelle mani di un’azienda senza un’architettura strategica è come regalare una Ferrari a chi non possiede nemmeno la patente. Nel migliore dei casi, la userà come un’utilitaria. Nel peggiore, finirà per schiantarsi.
Inoltre, il rischio concreto è che si perdano tempo e risorse dietro a una determinata AI, quando ogni settimana escono nuovi software più performanti, restando indietro.
Ma attenzione, perché le AGI (Artificial General Intelligence) non sono un software in più da installare, ma sono un vero e proprio terremoto organizzativo.
Perciò, la governance, la sicurezza, la strategia e la formazione non sono più optional.
Sono ossigeno per chi non vuole morire soffocato.
Chi pensa ancora al mercato del lavoro come nel 2019 ha già deciso per il suo fallimento a cui manca solo l’ora del decesso.
DAL KINTSUGI ALLA SALA OPERATORIA AZIENDALE
Il Kintsugi aziendale non è una metafora poetica o una delle tante strategie copia e incolla che abbiamo letto e studiato negli ultimi decenni, ma è una metodologia chirurgica e attuale. Di domani, non degli anni Novanta e nemmeno di oggi.
Perché ragionare sul presente, in un mondo che cambia alla velocità della luce, significa restare indietro.
Con il Kintsugi, si entra, si rompe ciò che non funziona, si rimuove ciò che blocca l’evoluzione e si ricostruisce con oro. Oro che, in questo caso, significa talenti riqualificati, processi ottimizzati e AI governata, non subita.
Siamo noi che dobbiamo usare le “macchine”, non le macchine che usano noi.
Perché finché per macchina intendiamo un’auto o un centro di lavoro, non ci sono grossi problemi, ma quando intendiamo un’intelligenza con capacità di ragionamento superiore a quella di qualsiasi essere umano e senza alcuna capacità di empatia e di sentimenti, comprenderete che i rischi sono enormi.
Così com’è rischioso concedere a tutti l’utilizzo delle AI in azienda. Meglio avere un “porto d’armi”.
La soluzione non è usare l’AI come una panacea universale, ma creare un gruppo d’élite: un ecosistema controllato, protetto dal rumore operativo.
Non “i fedeli di sempre”. Non “chi ha più anzianità”. Non i tuoi soliti yesman.
Ma persone scelte per agilità cognitiva, apertura mentale e competenze complementari.
Non ti servono più quelli che ti dicono solo ciò che vuoi sentirti dire, perché le AI saranno brutali e non ti piaceranno, ma avranno ragione.
Perciò hai bisogno dei migliori.
Hai bisogno di un’élite che non si limita a eseguire, ma governa la transizione tecnologica. Perché l’AI è uno strumento potente: nelle mani giuste accelera; in quelle sbagliate distrugge e determina danni irreparabili.
LA VERITÀ CHE NESSUNO AMA SENTIRE
Ma attenzione: il Kintsugi non è un progetto che ha come scopo salvare tutti i dipendenti di tutte le mansioni.
Possiamo riqualificare il massimo possibile, e lo faremo. Ma qualcuno rimarrà indietro e perderà il post.
È inevitabile.
Eppure, anche chi resta fuori dal perimetro aziendale deve essere preso in considerazione dal progetto perché può essere accompagnato verso nuove opportunità: formazione imprenditoriale, incubazione di start-up, reti di ex collaboratori che, in futuro, potrebbero persino tornare come clienti o partner.
Il cambiamento non è una carezza, ma una selezione. E solo imprenditori lungimiranti avranno il coraggio di farla.
Ma solo quegli imprenditori resteranno a galla dopo la tempesta delle AGI.

L’AI COME LA FERRARI: PROMPT ECCELLENTI O INCIDENTI ANNUNCIATI
Un prompt eccellente trasforma l’AI in una Ferrari. Un prompt scadente fa più danni di un dirigente incompetente.
Ecco perché serve disciplina ferrea, processi chiari e una strategia HR adeguata al futuro.
Non è il momento di affidarsi ai “soliti noti” o alla logica gerarchica del fratello, dell’amico, del vicino di casa….
È il momento di cercare il talento dove non ci si aspetta di trovarlo.
Le Ai non esistevano solo pochissimi anni fa, se non nei laboratori di Open Ai e simili.
Nessuno le ha studiate all’università, se non la frequenta oggi. Nessuno può definirsi davvero esperto di una tecnologia che non esiste di fatto, ma si crea giorno dopo giorno, ma chiunque può avere passione e competenze per governarla, qualunque sia il suo ruolo all’interno della tua azienda.
Solo che non lo sai.
Magari è il tuo braccio destro, oppure quel magazziniere a cui non daresti due lire.
Ho trascorso 24 anni in produzione, come operaio specializzato, prima di riprendere gli studi e avere esperienze di organizzazione in contesti tra i più disparati, dal settore artistico agli eventi.
Conosco il mondo e i processi aziendali in toto, non solo quelli del vertice piramidale, perché ho vissuto anche la base.
Ho visto competenze e intuizioni brillanti in ruoli considerati “minori”.
Ebbene, l’agilità mentale e l’umiltà di imparare valgono più di mille titoli accademici.
Questo è ciò che fa la differenza quando la velocità del cambiamento è superiore a quella di qualsiasi piano formativo tradizionale.
Quando ho deciso di riprendere gli studi e di laurearmi, la scintilla è stata un tumore. Per fortuna benigno, ma che mi costrinse a deambulare con l’aiuto di un bastone e a sopportare dolori lancinanti per diversi mesi.
Beh, lo spessore delle persone non sta nel non cadere mai e nel non avere mai problemi, ma in come si affrontano le vicissitudini per tornare più forti di prima e migliori.
Ecco perché il Kintsugi aziendale, l’arte di riparare con l’oro. Io sono un oggetto riparato, tornato migliore di prima, con competenze superiori, esperienze fantastiche.
Ho intervistato personaggi noti, organizzato eventi, dirigendo team di italiani e giapponesi e sono stato invitato a parlare di cultura, arte, comunicazione e società perfino in Giappone.
GUIDARE O ESSERE TRAVOLTI: LA DOMANDA CHE CONTA
L’AI e le AGI non aspettano nessuno.
O le guiderai, oppure ti travolgeranno.
Inutile girarci intorno.
Vuoi che i tuoi collaboratori diventino super-collaboratori, capaci di completare in poche ore ciò che oggi richiede una settimana o preferisci attendere che le macchine facciano lo stesso… senza di loro?
Lo so che l’idea di “tagliare costi” eliminando persone potrebbe sembrare allettante. Ma quando le macchine saranno in grado di fare anche il tuo lavoro, che ne sarà dell’azienda?
Pensaci.
Meglio prepararsi, allora.
Adesso, con una strategia strutturata, consapevole che ciò che funzionava nell’epoca degli umani e dei PC non funziona più nel regno delle AGI.
Non servono consulenti di professione, nella visione canonica del termine. Non servono yesman a cui paghi lo stipendio, ma nemmeno esterni pronti a dirti che hai ragione per paura che tu ti rivolga a qualcun altro.
Non ti serve chi ti parla di organizzazione del lavoro e di conoscenza delle risorse, quando non ha mai lavorato in produzione nemmeno una settimana nella sua vita.
Oggi, con l’avvento delle AGI non funziona più la strategia studiata solo sui libri o nei corsi di management.
Serve avere esperienze esponenziale, vaste, a 360°, un valore aggiunto che pochissimi hanno e che io, umilmente, posso vantarmi di avere, per un curriculum che è più unico che raro.
Quanti conosci che hanno condotto centri di lavoro per oltre vent’anni, gestendo anche interi reparti di fresatura, poi, sconfiggendo un tumore, hanno ripreso gli studi, laureandosi – e continuano a studiare, perché oggi è indispensabile essere sempre aggiornati?
E che poi hanno ideato, organizzato e gestito eventi in tutta Italia, anche istituzionali, arrivando perfino a collaborare con i giapponesi e intervistando personaggi noti?













Penseresti mai che il tuo apprendista, il tuo magazziniere, il tuo operaio…?
Non puoi sapere chi sia il vero talento in azienda se non lo cerchi con la mente aperta.
In un mondo che cambia visione ogni settimana, non serve chi ha competenze limitate a singoli aspetti produttivi o settoriali, ma chi ha un background di competenze ed esperienze il più vasto possibile, proprio come avviene da anni nelle più potenti aziende americane.
L’URGENZA DELLA TRASFORMAZIONE DATO DALLE AI E DALLE AGI
Rompere, ricostruire, rinforzare. Governare, non subire. Scegliere l’eccellenza, non la mediocrità, il domani, non la solita zona di comfort.
Le aziende che oggi hanno il coraggio di affrontare questa chirurgia organizzativa saranno le uniche a prosperare domani.
Le altre diventeranno note a piè di pagina nella storia della trasformazione digitale.
E no, non vale il “mai noi abbiamo la nostra nicchia in cui siamo insuperabili”.
Anche Kodak rispose così a Steven Sasson, l’ingegnere alle sue dipendenze che propose all’azienda una sua invenzione. Si trattava della macchina fotografica digitale.
I manager di Kodak gli risero in faccia perché proponeva fuffa, non aveva dati a supporto della sua strampalata idea e lo presero in giro: «Chi mai dovrebbe avere voglia di vedere le sue foto su uno schermo? E perché dovremmo distruggere la richiesta enorme di carta e rullini, in cui siamo i numeri uno al mondo?»
Beh, il fallimento di Kodak si studia all’università, così come la cecità mentale di tanti leader e manager che non scelgono di restare in stazione anziché salire sul treno del futuro.

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