
ALESSANDRO VILLANUCCI, L’OCCHIO CHE SUSSURRA
La fotografia di Alessandro Villanucci non è un semplice riflesso del reale, ma una lente che incide sulla materia per svelarne il respiro nascosto, presentandola a noi sotto forma di immagini.
Ogni sua immagine è una luce accesa sull’essenza delle cose, dove le forme si dissolvono in emozioni e i luoghi diventano metafore di stati d’animo.
Guardare le sue opere è come ascoltare il mormorio di un confine tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo, tra la geometria fredda dell’architettura e il calore confortante della memoria, delle cose che ci fanno tornare bambini e sentire a casa.
Villanucci osserva il mondo come un archeologo, scavando nei vuoti e nelle ombre per ritrovare tracce di umanità, in quelle sue fotografie spesso ambientate in luoghi di passaggio, come se ogni scatto fosse un invito a varcare una soglia.
Non c’è nostalgia romantica nel suo approccio, la sua reflex non immortala solo per ricordare, ma è animata dalla lucida consapevolezza che lo spazio fisico è sempre attraversato da correnti invisibili, fatte di ricordi, desideri, solitudini. Positivi e negativi.
La scala a chiocciola in bianco e nero, con il suo vortice infinito, non è solo un elemento architettonico, ma un simbolo dell’esistenza come movimento perpetuo verso un centro mai raggiunto.
Il linguaggio visivo di Villanucci è costruito su tensioni: chiaroscuro estremo, linee nette che tagliano superfici sfumate, colori saturi che si infrangono sul grigio della pietra. La sua tecnica è rigorosa, quasi matematica, ma, al tempo stesso, carica di libertà compositiva.
Nella foto del tramonto tra gli alberi spogli, il rosso acceso del cielo sembra liquefarsi sui rami, trasformando la natura in uno spartito musicale, uno scatto in cui il colore è il sangue della terra che sgorga dal gelo delle stagioni più fredde.
Gli elementi ricorrenti nella sua produzione, come porte, scale, colonne, non sono semplici oggetti, ma protagonisti di un dramma silenzioso. La porta chiusa in fondo a un vicolo stretto, illuminata da un raggio di sole, diventa un enigma narrativo. Cosa custodisce? Chi attende oltre quel battente?
Villanucci gioca con la prospettiva come un illusionista, facendo convergere linee parallele in punti fuggenti che risucchiano lo sguardo verso l’ignoto.
Il bianco e nero domina la maggior parte delle sue opere, non per purismo formale, ma per evidenziare la dualità che anima ogni realtà: luce/ombra, presenza/assenza, verità/menzogna, vita/morte.
Le sue immagini sono cariche di ambiguità semantica. E trasformano lo spazio fisico in uno spazio psichico, dove ogni oggetto è un segno di un linguaggio segreto.
La filosofia di Villanucci è quella di chi guarda il mondo con occhi di un profugo, per cui le sue fotografie alimentano domande.
Dove stiamo andando? Cosa resterà di noi?
Villanucci racconta la fragilità che precede e segue, al tempo stesso, la bellezza. Ci racconta le fasi iniziali e terminali della vita, attraverso il racconto della fragilità.
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ALCUNE OPERE DI ALESSANDRO VILLANUCCI

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