Da anni mi trovo al centro di un dibattito che mi accusa di occuparmi troppo di politica.
«Pensi a fare il critico d’arte e a scrivere libri e lasci perdere la politica.»
Una critica assurda e priva di fondamento, poiché chi sostiene che l’arte debba essere neutra ignora la storia, a cominciare da quella dell’arte, che è da sempre veicolo privilegiato di messaggi politici e sociali.
Da Otto Dix a Banksy, da Marina Abramović a Yoko Ono, l’arte ha sempre raccontato, analizzato e denunciato il proprio tempo, soprattutto dall’avvento dalla macchina fotografica in poi.
POLITICA E ARTE: DUE TERMINI, UNA MISSIONE COMUNE
Per comprendere meglio il legame tra arte e politica, è utile partire dal significato etimologico e filosofico dei due termini.
La parola “politica” deriva dal greco πολιτικός, (politicos), che possiamo tradurre come “gli affari della città”.
Politica non è soltanto relativa a personaggi in giacca e cravatta in parlamento, ma è tutto ciò che concerne l’organizzazione della società e il bene comune.
La politica, dunque, non si limita all’azione istituzionale, ma si estende a ogni sfera in cui sono interessati i rapporti umani e sociali.
L’arte, invece, deriva dal latino “ars”, che possiamo tradurre con “tecnica” o “mestiere”, ma il suo significato si è evoluto fino a indicare un concetto più esaustivo, capace di comunicare emozioni, idee e visioni.
Filosoficamente, l’arte è sempre stata vista come un mezzo per interpretare e rappresentare la realtà, pertanto, politica e arte condividono l’obiettivo di analizzare e trasformare il mondo: la politica attraverso l’azione, l’arte attraverso la visione.
ARTISTI E OPERE CHE HANNO SEGNATO LA POLITICA CON L’ARTE
Partiamo da Otto Dix, pittore espressionista tedesco che, attraverso la sua arte, ha denunciato gli orrori della Prima Guerra Mondiale e ci ha lasciato un’enciclopedia visuale dello svilimento culturale della società del suo tempo che portò all’ascesa del nazismo.
I suoi dipinti mostrano una brutalità cruda e disarmante; Otto Dix non dipingeva per compiacere, ma per scuotere le coscienze, rendendo la sua opera un manifesto politico contro il militarismo e la distruzione portata dalla follia della guerra.
Vincent van Gogh – considerato, erroneamente, da alcuni solo un genio tormentato – ha espresso, invece, con forza il dramma sociale dei contadini e degli ultimi; le sue opere non sono solo capolavori di stile, ma anche ver e propri atti d’accusa contro l’ingiustizia sociale.
Nel Novecento, Diego Rivera ha portato l’arte politica tra la gente con i suoi murales, che raccontavano le lotte dei lavoratori e la storia della Rivoluzione messicana, cosa portata avanti anche da artisti meno conosciuti, come Marcelo Pogolotti.
La stessa Frida Kahlo, spesso vista solo come icona femminista, ha riversato nei suoi quadri un’intensa riflessione politica e sociale che stava alle base della sua arte, senza dimenticare che la lotta femminista è una delle lotte politiche più forti e sentite.
MARINA ABRAMOVIĆ: IL CORPO COME STRUMENTO DI PROTESTA
Marina Abramović è un esempio emblematico di come l’arte possa diventare attivismo politico in forme che trascendono stereotipi e mode.
L’artista serba ha esplorato temi come il potere, la resistenza e la violenza, mettendo in discussione i confini tra pubblico e artista, tra chi crea e chi assiste, dando enfasi alla vulnerabilità del corpo come simbolo della fragilità umana in contesti di oppressione e di autoritarismo.
Marina Abramović non si è mai sottratta a un confronto diretto con il potere e ha utilizzato il proprio corpo come strumento per indurre riflessioni profonde sul ruolo della politica nella vita di ciascuno.
YOKO ONO: LA PACE COME ATTO POLITICO
Yoko Ono viene ridotta spesso dai media a figura marginale nella storia di John Lennon, ma, in realtà, è stata una delle artiste e delle attiviste più influenti del Novecento.
Le sue opere concettuali, hanno sfidato le norme sociali, denunciando la violenza e le dinamiche del potere.
Insieme a Lennon, Yoko Ono è riuscita a trasformare un gesto intimo in un veicolo per promuovere la pace, dimostrando che l’arte può essere una forma di protesta efficace, può dividere e generare dibattiti.
Perché non esiste niente al mondo che, più dell’arte, possa definirsi politica.
ELINA CHAUVET E LE SCARPETTE ROSSE
E come dimenticare Elina Chauvet, l’artista messicana che ha creato una delle installazioni più iconiche contro la violenza di genere: Zapatos Rojos (Scarpette rosse), quell’installazione che vediamo moltiplicarsi in giro per il mondo il 25 novembre di ogni anno, quando ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
L’installazione consiste in centinaia di scarpe rosse disposte in spazi pubblici, simbolo delle donne vittime di femminicidio.
Le scarpette vuote evocano assenze dolorose e sottolineano l’urgenza di un cambiamento sociale.
Elina Chauvet è riuscita a promuovere il suo messaggio puramente e genuinamente politica attraverso la sua espressione artistica, dando la nascita a un movimento globale e ispirando repliche in tutto il mondo che portano alla ribalta una delle questioni più drammatiche del nostro tempo.
LA CRITICA D’ARTE COME INTERPRETE DELLA SOCIETÀ
Tuttavia, nella storia, non solo gli artisti, ma anche i critici e gli storici dell’arte hanno avuto un ruolo cruciale nel dare voce a messaggi politici: pensiamo a John Berger, famoso scrittore, pittore e critico d’arte britannico, autore di Ways of Seeing, che ha messo in discussione i canoni estetici tradizionali, legandoli alle dinamiche di potere e classe.
In Italia, Vittorio Sgarbi – personaggio controverso, ma mai banale – è un esempio di critico d’arte prestato alla politica o di politico prestato all’arte che ha usato il linguaggio dell’arte per affrontare temi legati al patrimonio culturale e al suo sfruttamento, mettendo in luce l’importanza della tutela come valore universale e imprescindibile.
D’altronde, l’arte è politica per definizione.
Ogni cromia, ogni scelta stilistica, ogni soggetto racconta qualcosa del contesto sociale e storico in cui l’opera è nata.
La Cappella Sistina di Michelangelo, pur essendo un capolavoro sacro, è un manifesto del potere temporale della Chiesa. Non è politica?!
Il futurismo italiano, guidato da Filippo Tommaso Marinetti, è stato una dichiarazione politica in piena regola che ha sposato le idee del fascismo, segnando un’epoca.
E come dimenticare grandi artisti della letteratura profondamente impegnati in politica, come Dante, per esempio?
L’INFLUENZA TRA ARTE E POLITICA NEL MONDO CONTEMPORANEO
Il mio lavoro di scrittore e critico d’arte non fa che proseguire questa tradizione.
Parlare di politica, spesso proprio attraverso l’arte, non è un tradimento della disciplina, né cosa da tuttologi o altre corbellerie campate in aria da chi non sa nemmeno di cosa parli, ma si tratta di una sua naturale evoluzione.
Sviscerare quanto accade nel mondo, approfondendo i grandi temi geopolitici, non è un vezzo, ma fa parte del lavoro di critico d’arte, almeno di chiunque voglia svolgere tale professione al meglio e a livelli professionali completi ed eccelsi.
Perché, se non comprendi ciò che accade nel mondo, se non sai andare oltre lo strato apicale delle notizie, come fai a capire cosa voglia dire un artista con un’opera, un libro, una canzone?
Un artista che non si espone, che non sviscera il proprio tempo, non è poi così bravo come artista. Figuriamoci come possa definirsi critico d’arte chi non è in grado di sviscerare quanto accade nel mondo, di comprenderlo e di dibatterne.
Se fossi un artista, scapperei a gambe levate da un critico incapace di esporsi, di criticare, di valutare il presente, di studiarlo e di parlarne, perché, nella migliore delle ipotesi, potrebbe parlare di colori e tratti, ma sarebbe sterile quanto a poetica, filosofia e semiotica, che sono l’ABC della critica moderna.
L’arte, se non racconta, non denuncia, non analizza, a cosa serve?
La bellezza fine a se stessa è sterile e, al più, può essere artigianato, mai arte.
La vera grandezza dell’arte risiede nella sua capacità di mettere in discussione il presente per provare a plasmare il futuro.
Ecco perché l’arte e la politica sono inscindibili: entrambe sono strumenti di trasformazione, di consapevolezza, di evoluzione, di racconto della società.
Sono entrambi fondamentali per un mondo migliore.


