IL TIFO PERICOLOSO PER LA CENSURA: PERCHÉ UNA PARTE DELLA SOCIETÀ DETESTA LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

Nell’era contemporanea, assistiamo a un fenomeno inquietante che evidenzia un preoccupante svilimento culturale: una crescente inclinazione verso la censura, spesso giustificata dalla presunta incapacità altrui di comprendere o discernere correttamente.

Una presunzione che nasce da risentimento, da evidenti mancanze culturali, ma anche da un’educazione sbagliata a valori lontani anni luce dalla cultura della vera inclusione e dei diversi punti di vista.

Questo atteggiamento paternalistico, che si manifesta in vari ambiti della società, mina i fondamenti stessi della libertà di espressione e del pensiero critico e sdogana atteggiamenti inclini ai peggiori regimi della storia, in un pericoloso cortocircuito della democrazia.

IL PARADOSSO DELLA CENSURA VOLONTARIA

È sorprendente osservare come, in una società che proclama la libertà come valore supremo, vi sia una porzione significativa di individui pronti a sostenere, o addirittura invocare, la censura.

Questa tendenza si è manifestata in modo evidente durante la pandemia di Covid-19, quando voci critiche, anche provenienti da esperti riconosciuti a livello mondiale, qualcuna persino insignita di Premi Nobel per la medicina, sono state silenziate o ridicolizzate nel momento in cui criticavano dottrine, norme e provvedimenti presi dai governi, nonché il nuovo messia dell’epoca: il vaccino.

La convinzione che solo le opinioni conformi alla narrativa dominante fossero valide ha portato a una sorta di autocensura collettiva che è forte ancora oggi, per cui tanti vedono il dissenso come una minaccia piuttosto che un’opportunità di arricchimento del dibattito pubblico, come dovrebbe essere in una società sana e normale.

LE RADICI FILOSOFICHE DELLA DITTATURA DEL PENSIERO

La storia della filosofia ci offre numerosi esempi di riflessioni sulla censura e sulla dittatura del pensiero.

Ad esempio, François-Marie Arouet, divenuto noto come Voltaire, criticava aspramente il dispotismo illuminato che, pur proclamando intenti progressisti, imponeva un rigido controllo sulle idee e sulle espressioni individuali, mentre egli sosteneva che la libertà di pensiero fosse essenziale per il progresso umano e che la censura rappresentasse un ostacolo insormontabile a tale progresso.

Hannah Arendt, nel suo studio sul totalitarismo, ha dimostrato come i regimi dittatoriali mirino a eliminare la pluralità delle opinioni, instaurando un pensiero unico che soffochi qualsiasi forma di dissenso.

Arendt ha spiegato anche come la vera forza di una società risieda nella sua capacità di accogliere e gestire la diversità di pensiero, senza ricorrere alla repressione o alla censura.

LA CANCEL CULTURE E IL RITORNO DELLA CENSURA

Nei tempi recenti, fenomeni come la “cancel culture” hanno riportato alla ribalta il dibattito sulla censura.

La tendenza a ostracizzare individui e opinioni che non si allineano con determinati standard morali, ideologici, o legati a pensieri unici, rappresenta una forma sottile, ma pervasiva e becera, di censura e di dittarura.

Un atteggiamento che non limita soltanto la libertà di espressione, ma crea un clima di paura che alimenta il conformismo e la stereotipizzazione delle masse, dove il timore di essere “cancellati” impedisce un autentico scambio di idee.

Un fenomeno che si è verificato in tutte le dittature della storia, comprese quelle del secolo scorso.

L’ILLUSIONE DELLA PROTEZIONE ATTRAVERSO LA CENSURA

Sostenere la censura nella convinzione di proteggere la società da idee pericolose o fuorvianti è un’illusione pericolosa, un’ideologia che paesi come la Cina e altri di orbita sovietica conoscono piuttosto bene.

La censura non elimina le idee, le nasconde soltanto, permettendo loro di proliferare nell’ombra senza possibilità di confronto critico, ma lobotomizza la maggioranza del popolo, quella meno incline al ragionamento e al pensiero critico, creando il popolo ideale per imporre un regime.

Come sostenuto, tra gli altri, dal sociologo e filosofo Edgar Morin, la negazione della libertà di pensiero e di espressione è una caratteristica fondamentale dei regimi dittatoriali, che temono il potere liberatorio del pensiero critico.

D’altro canto, chi vuole imporre il proprio pensiero non sopporta la libertà di espressione perché il dibattito e il confronto delle opinioni costringono ad argomentare.

Prendendo in considerazione il biennio 2020-2021, chi ha tanto tifato per la censura, voleva evitare di discutere di un vaccino arrivato in Italia con un furgone dotato di un frigorifero speciale, ma poi distribuito in spiaggia, sotto il sole d’agosto.

Ha evitato di spiegare chi e in nome di cosa potesse stabilire perché un virologo Premio Nobel fosse nel torto e un Cecchi Paone qualunque esprimesse illuminate verità scientifiche.

Ha evitato di spiegare su quali basi scientifiche si fondasse il green pass – oggi sappiamo, per ammissione della stessa Pfizer, che non esistevano studi che giustificassero i green pass.

D’altronde, la massa di persone dotate di un senso critico immaturo e sterile non poteva non accodarsi alle castronerie partorite dalla ballerina, dall’esperto di calcio, perfino dall’attore di teatro, sulla validità del vaccino distribuito in spiaggia, tifando per la censura di chiunque sollevasse domande intelligenti a cui era impossibile dare risposte che non fossero idiozie o l’ammissione di voler imporre un giro d’affari impressionante e, probabilmente, portare avanti quello che -a oggi- è stato il più grande esperimento sociale del millennio.

(Puoi approfondire il pensiero filosofico qui)

LA NECESSITÀ DI DIFENDERE LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

La libertà di espressione è un pilastro fondamentale di una società democratica e pluralista, una condizione che è impossibile da mettere in discussione da chiunque non sia un fascista di fatto.

Rinunciare alla libertà di espressione, o peggio, invocare la censura contro chi dissente, significa avviarsi su una china pericolosa verso l’autoritarismo, proprio come abbiamo visto in questi anni.

D’altronde, era evidente che i servizi di fact checking non potessero in alcun modo garantire imparzialità per diversi motivi: in primo luogo, perché non esiste essere umano -né AI- in grado di essere imparziale. (Le Ai sono software che seguono le logiche di chi li progetta.)

In secondo luogo, questi “cani da guardia” diventano facilmente strumenti nelle mani di chi assume il potere, in cambio di soldi, favori, carriere, ricatti, interessi…

Oggi sappiamo che l’Amministrazione di Joe Biden e il Partito Democratico hanno usato tali strumenti di censura per supportare il pensiero unico confacente al presidente americano.

Sappiamo che lo hanno fatto durante la pandemia, ma sappiamo anche che l’utilizzo di questi strumenti ha avvantaggiato lo stesso Biden nella corsa alla Casa Bianca, quando fu censurato un articolo del New York Post, pubblicato poco prima delle elezioni del 2020, riguardante accuse sul figlio del presidente, Hunter Biden. (Fonte: qui)

Come sarebbero andate quelle elezioni se quell’articolo non fosse stato censurato per diversi giorni?

E se oggi tali strategie e strumenti di censura fossero usati da Trump o da Putin?

A chi crede che Putin sia un dittatore sanguinario, per esempio, farebbe piacere vedersi cancellare un post con la scritta “Il tuo post è stato classificato come disinformazione?”

È essenziale riconoscere il valore del dissenso e del dibattito, accogliendo la pluralità delle opinioni come una risorsa e non come una minaccia, per non alimentare l’idea che la società corretta sia quella dei talk show degli esperti che pontificano senza contraddittorio.

IL RUOLO DEL POTERE NELLA PROMOZIONE DELLA CENSURA

Ma quanto è accaduto in questi anni, ha fatto emergere anche un problema che sembrava confinato in quelle che noi occidentali definiamo dittature: la fusione tra potere politico, economico e tecnologico nella gestione delle informazioni.

Come sottolineava Michel Foucault, il potere non si limita a reprimere, ma crea discorsi e verità, definisce ciò che è “vero” e delegittima tutto il resto. In buona sostanza, trasforma sciocchezze in verità.

D’altro canto, se sai comunicare con le giuste strategie, puoi obbligare milioni di persone ad ammettere che un cartello rosso sia verde, come dimostrato più volte da molteplici esperimenti di psicologia.

E come abbiamo visto in questi ultimi quattro anni di narrazioni grottesche, di vaccini che facevano persino ricrescere i capelli ai calvi e curavano il cancro, o di soldati russi costretti a combattere solo con delle pale, ma comunque pericolosi perché la Russia starebbe per invadere l’Europa intera.

Come Mosca potrebbe mai portare avanti una campagna bellica tanto enorme, senza munizioni né soldi, non si sa, ma quando hai lobotomizzato le masse, narrando di un vaccino che necessitava di furgoni che garantissero temperature siderali, ma poi distribuito in spiaggia, conservato in normali frigoriferi, puoi permettere di far passare ogni sciocchezza per qualcosa di alto valore filosofico.

Le piattaforme tecnologiche, sotto la pressione di governi o gruppi di interesse, hanno agito come strumenti di questa dinamica dittatoriale, censurando i contenuti in nome di una presunta “protezione” del pubblico, trattando i cittadini come dei poveri idioti.

Ma chi decide cosa deve essere censurato? E soprattutto, chi controlla i censori?

Queste domande rimangono irrisolte e ogni tentativo di eludere un confronto aperto non fa che rafforzare l’autoritarismo culturale, un cancro sociale che molti filosofi, da John Stuart Mill a Karl Popper, hanno criticato aspramente.

LA MINACCIA DEL CONFORMISMO CULTURALE

Alexis de Tocqueville, nella sua analisi sulla democrazia in America, avvertiva del pericolo di una “tirannia della maggioranza”.

Questo concetto è oggi evidente in molte dinamiche di censura sociale, dove chi dissente viene etichettato come ignorante o pericoloso, indipendentemente dal merito delle sue argomentazioni, dalla cultura personale e dai titoli.

La capacità di ascoltare e confrontarsi con opinioni contrarie non è solo un segno di maturità individuale che distingue la persona di spessore dall’idiota, ma un requisito fondamentale per la salute di una democrazia.

Inoltre, il conformismo culturale genera una società fragile, incapace di affrontare sfide che non siano quanto partorito dai capricci di chi siede ai posti di comando.

Per costruire una società che valorizzi la libertà di espressione, è necessario abbracciare un’etica della responsabilità nella comunicazione.

Come sosteneva Hans-Georg Gadamer, il dialogo autentico richiede apertura e disponibilità a cambiare prospettiva, cosa impossibile se non si è disposti ad ascoltare chi la pensa diversamente o, peggio, se si preferisce che gli altri nemmeno siano liberi di esprimere le loro opinioni.

Le piattaforme digitali, che oggi detengono un enorme potere nella diffusione delle informazioni, devono essere incentivate a mettere in atto ogni azione per evitare la censura, di qualunque forma o natura possa essere, per facilitare un confronto onesto e libero.

Ciò non significa approvare comportamenti criminali e diffamatori – condizioni per cui esistono già i tribunali e il Diritto, comunque-, ma creare spazi in cui la verità possa emergere attraverso il confronto critico e le argomentazioni.

La libertà di espressione non è un lusso, ma una necessità primaria per una società matura e ogni volta che accettiamo la censura, anche quando per mille motivi potrebbe sembrare necessaria ai meno inclini al ragionamento, trasformiamo la democrazia in dittatura.

Il prezzo della censura è troppo alto: genera una società chiusa, intollerante e incapace di progredire.

È solo attraverso la difesa intransigente del diritto di ogni individuo di esprimere le proprie idee, anche le più controverse, che possiamo sperare in un futuro migliore, fatto di rispetto, conoscenza, libertà e maturità culturale.

Le Menti Invisibili, è il nuovo romanzo di Pasquale Di Matteo

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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