NON IN CINA, NON IN RUSSIA: L’ITALIA VERSO LA SORVEGLIANZA UNIVERSITARIA
Se vi svegliate al mattino con il sospetto di vivere in un romanzo di George Orwell, non state sognando: benvenuti nell’Italia del 2025, dove il Ddl Sicurezza, partorito dalla fervida immaginazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, rischia di trasformare le università in uffici periferici del Ministero della Verità.
SCHEDARE STUDENTI E DOCENTI: IL NUOVO SPORT NAZIONALE
Avete mai pensato che il vostro professore di filosofia potesse essere reclutato dai servizi segreti per scoprire se avete idee troppo “rivoluzionarie”?
O che lo stesso potesse essere intimorito dai medesimi servizi, perciò impossibilitato a esporre le proprie idee sulla società e sulla politica?
Ora è possibile!
L’articolo 31 del Ddl Sicurezza obbliga le università e gli enti di ricerca a collaborare con i servizi di intelligence, anche in deroga alle normative sulla privacy.
In parole povere, di fronte alle richieste di servizi segreti e organi giuridici, i nostri atenei non potranno più negare l’accesso alle schede di studenti e docenti in nome della privacy e, di fatto, potrebbero trasformarsi in filiali del Grande Fratello, dove chiunque può finire sotto la lente di ingrandimento, dallo studente che protesta contro una riforma al ricercatore che osa indagare temi poco graditi al potere.
Un po’ come già accaduto con il fact checking su Facebook, insomma, si cerca di silenziare chiunque non sposi il pensiero unico ottriato da chi comanda.
LA LIBERTÀ ACCADEMICA? UN’AMENITÀ DEL PASSATO
Secondo associazioni come l’Aisa (Associazione Italiana per la Scienza Aperta) e il SeSaMO (Società per gli Studi sul Medio Oriente), il disegno di legge è un colpo mortale alla libertà accademica che è – e dovrebbe restare – un punto cardine di ogni democrazia sana.
Non si tratta più di “collaborazione” con i servizi segreti, ma di un vero e proprio obbligo giuridico, che riduce le università a bracci operativi di un sistema di sorveglianza nazionale.
Se George Orwell avesse voluto scrivere un capitolo specifico sul Mediterraneo, lo avrebbe forse intitolato: “1984 – Edizione italiana”.
Sì. Italia. Non la Russia di Putin e nemmeno la Cina.
QUANDO IL PROBLEMA È IL PENSIERO, NON IL CRIMINE
Mentre si blindano le aule accademiche e si intimorisce chiunque dimostri l’intelligenza e la cultura del dubbio e del dissenso, ci si domanda: e le strade?
I fatti parlano chiaro.
Milano, Piazza Duomo, Capodanno: violenze di gruppo lasciate a briglie sciolte.
Bologna, Roma: manifestazioni e proteste trasformate in bolge senza controllo.
Le stesse forze dell’ordine, che il Governo vuole “tutelare” con pene più severe contro chi osa resistere a un ordine, vengono ridicolizzate da orde di criminali che agiscono indisturbati, forti della paura generata dal muoversi in massa.
Il messaggio che passa sembra inequivocabile: ci interessa poco la sicurezza dei cittadini, ma molto il controllo delle idee e del pensiero.
D’altro canto, sono mesi che sentiamo sciocchezze da ogni parte politica sui pericoli per la democrazia derivanti dalla libera circolazione delle idee sui social, no?
Ormai, il pensiero unico del potere sembra quello: se circolano libere idee, il potere perde potere. E, visto che l’elezione di Trump ha distrutto i piani dei tifosi della censura dei fact checking – almeno per qualche anno -, allora è meglio stroncare il pensiero nei luoghi della cultura.
UNA DERIVA ANTICOSTITUZIONALE: ATTACCO AL LIBERO PENSIERO
Non lo dicono solo le associazioni universitarie, ma anche personalità come l’ex procuratore Armando Spataro, che denuncia come il Ddl rappresenti una pericolosa espansione dei poteri dei servizi segreti in ambiti che non gli competono.
In pratica, un sistema che aggira la Costituzione per infilare il naso dove non dovrebbe, tutto in nome di una presunta “sicurezza”.
MILANO IN FIAMME, MA PIANTEDOSI GUARDA ALTROVE
Mentre il ministro e il Governo sono impegnati a costruire questa architettura del controllo, le cronache raccontano di una realtà ben diversa.
Giovani abusati in pieno centro, coppie aggredite fuori dai locali, cittadini esasperati da una delinquenza dilagante, con cronisti che sono intimoriti a scrivere dell’egiziano, del tunisino o di altri stranieri perché sanno che non si può scrivere, pena l’assalto di altre orde – questa volta politiche – convinte che criminali, sessisti e razzisti siano sempre e solo bianchi ed europei.
Ma la priorità, a quanto pare, è zittire chi protesta e sorvegliare chi pensa.
DASPO URBANO, BODYCAM E ARMI PER LE FORZE DELL’ORDINE: LA SICUREZZA PER CHI?
Nel frattempo, il pacchetto sicurezza diventa sempre più robusto: Daspo urbano, arresti in flagranza differita, bodycam per documentare ogni movimento.
Pene draconiane per chi manifesta oppure osa bloccare una strada. Ma per i criminali che infestano le nostre città, le maglie restano larghe come un portone aperto.
Per di più, se si vuole più tutela, come mai sì alle telecamere per gli agenti e no ai numeri identificativi sui caschi?
Lo ricordiamo: il numero identificativo sul casco non lede in alcun modo la privacy del poliziotto, che può essere identificato solo dagli organi competenti, come avviene in molte democrazie. Perché in Italia non si vuole questo codice?
Non si vuole la sicurezza dei cittadini?
Sembra quasi che si stia costruendo un’immunità per le forze dell’ordine prima di usarle per qualcosa di più grande, come avviene in Cina e in Russia. Così, tanto per citare qualche paese a cui sembra si stiano ispirando queste norme.
Sembra quasi che, dopo le prove generali andate in scena con i divieti durante la pandemia, “qualcuno” stia tentando di limitare tutti quei meccanismi che non si riuscivano a controllare: social network; libera circolazione di idee; manifestazioni di piazza; dibattiti e pensiero nelle università.
Tutte quelle cose che sono controllate in tutti i regimi dittatoriali del mondo, insomma.
CONCLUSIONI: DDL SICUREZZA, LA SICUREZZA DEL POTERE
In questa parodia della democrazia, la vera “sicurezza” che il Ddl sembra voler garantire è quella del potere stesso: un potere che teme il dissenso, soffoca il pensiero critico e trasforma le istituzioni in strumenti di controllo.
Non siamo in Cina, non siamo in Russia, ma i confini sembrano sempre più labili, così come aumentano sempre più le incongruenze e le contraddizioni.
L’Italia del 2025 si avvicina pericolosamente a un incubo orwelliano. Avremo anche le bodycam, ma chi proteggerà la libertà di pensiero e di dissenso?
E, visto che libertà di pensiero e di dissenso sono le basi imprescindibili di ogni democrazia sana e matura, chi difenderà la democrazia?
FONTI
IL ROMANZO CHE SVELA IL VERO POTERE DI CHI GOVERNA IL MONDO
