L’ARTE COME SPECCHIO DEL TEMPO: IL RUOLO DELL’ARTISTA TRA DENUNCIA SOCIALE E NARRAZIONE STORICA

L’arte non è decorazione e nemmeno è un lusso per salotti benpensanti.

È sangue versato sulla tela, un respiro spezzato che diventa inno, una ferita aperta che ci costringe a pensare.

Gli artisti sono cartografi dell’anima umana: mappano paure, desideri e ingiustizie con una franchezza che la Storia spesso rimuove e che le persone comuni non possono vantare.

D’altronde, la storia dell’arte è ricca di pittori consacrati come grandi artisti proprio in virtù della loro capacità di sviscerare il loro tempo.

FRIDA KAHLO: QUANDO IL DOLORE DIVENTA BANDIERA

Immaginatela, Frida Kahlo: distesa su un letto di ospedale, con il corpo crivellato di chiodi e di cerchi metallici.

Eppure, dipinge. Dipinge come se il pennello potesse suturare le lacerazioni dell’anima.

I suoi autoritratti non sono vanità, ma atti di sopravvivenza. In Le due Frida (1939), non racconta solo il dualismo dell’individuo, ma c’è il coraggio di mostrare un cuore esposto, pulsante, che tiene in mano le forbici del proprio destino, per recidere quanto non va.

Immagine dell'opera di Frida Kahlo Le due Frida

Indossa un vestito che potrebbe far pensare al folklore, invece è un’armatura in cui ogni ricamo è una dichiarazione di guerra al colonialismo che vuole cancellare le radici.

Quando dipinge la colonna spezzata, non sta parlando solo della sua spina dorsale, ma di quella di un intero popolo, perché Frida ci insegna che l’arte è la vice di un corpo che sanguina, e, proprio per questo motivo, vive.

La Colonna Spezzata
Frida Kahlo

ARTEMISIA GENTILESCHI: LA RABBIA CHE DIVENTA LUCE

C’è un momento, nella vita di Artemisia Gentileschi, in cui il mondo le dice: «Sarai vittima per sempre».

Lei risponde dipingendo Giuditta che decapita Oloferne.

Non è un “semplice quadro”, ma un’opera d’arte di fortissimo impatto poetico, un urlo muto che attraversa i secoli, in cui le mani di Giuditta non tremano, mentre il sangue che schizza non è effetto scenico, bensì è giustizia.

Artemisia non voleva essere eroina; desiderava solo esistere e vivere una vita piena, appagante, in un’epoca in cui le donne erano muse o fantasmi, perciò ogni sua pennellata era un atto di libertà.

I suoi chiaroscuri non giocano con la luce, ma la creano. Perché l’arte, quando nasce dalla verità, è sempre un faro.

GEORGIA O’KEEFFE: LA RIVOLUZIONE IN UN PETALO

Georgia O’Keeffe non dipingeva fiori, ma mondi.

Quei petali carnosi, quegli stami che sfiorano il cielo, non erano metafore sessuali, ma manifesti.

«Perché gli uomini vedono solo ciò che li spaventa?», sembra dirci.

Nei suoi deserti del New Mexico, tra teschi di animali e orizzonti senza fine, c’è una lezione che ci spiega che la natura non chiede permesso.

È potente, selvaggia, indifferente ai ruoli che vogliono imporle e, soprattutto, indifferente agli esseri umani.

O’Keeffe ha fatto della solitudine una forza.

Ha preso l’astrazione, linguaggio dei grandi maestri maschi, e l’ha riempita di un femminile che non chiede spazio, ma, proprio come fa la natura, lo conquista.

MARY CASSATT: IL SUSSURRO CHE DIVENTA TUONO

Mary Cassatt non urlava.

Parlava a bassa voce, mentre il mondo dell’arte gridava, soprattutto con voci maschili.

Nei suoi quadri, le madri non sono sante né angeli: sono donne stanche, con le mani callose, che lavano, nutrono, resistono alle dinamiche del tempo.

Negli sguardi delle sue protagoniste, mai rivolti allo spettatore, c’è tutta la rivoluzione silenziosa delle suffragette.

Cassatt sapeva che cambiare il mondo inizia dal rendere visibile l’invisibile, perciò ha fatto delle sue pennellate morbide dei picconi per abbattere il muro tra “arte aulica” e vita quotidiana.

DIEGO RIVERA: L’EPICA DEGLI ULTIMI

Camminate per Città del Messico.

Alzate gli occhi e notate i murales di Diego Rivera, che non sono dipinti, ma il respiro di un’intera nazione.

In Epopea del popolo messicano (1929-1935), contadini e operai non sono comparse: sono dei ed eroi che l’artista idealizza, mostrando le mani sporche di terra, i volti segnati dalla rivoluzione tradita.

La sua arte è un abbraccio collettivo, dedicato a tutti, non a caso scelse i muri delle strade, non le gallerie, per veicolare i suoi messaggi.

Perché l’arte vera non si compra e non si vende: si vive e si dona alla storia!

E se oggi i suoi colori sembrano sbiaditi, basta ascoltare: ancora gridano «Tierra y libertad!»

OTTO DIX: IL VOLTO DELL’UMANITÀ SFREGIATA

Otto Dix non dipinge, ma disseziona, deturpa e rielabora corpi. E con i corpi mutilati e storpi, racconta lo svilimento sociale di quegli anni bui che nutrirono il nazismo.

Nei suoi ritratti, i corpi dei reduci sono cartapesta, le prostitute hanno occhi di vetro, i banchieri sorridono con denti di lupo e persino i preti rappresentano negatività.

Le sue opere sono racconto, ammonimenti e profezie.

Quei cadaveri aggrovigliati sono l’anticipo di Auschwitz, Dresda, Hiroshima e Nagasaki. L’anticipo delle più drammatiche forme del male.

Dix sapeva che la guerra non finisce mai.

Per questo continuò a dipingere, anche quando i nazisti lo marchiarono con l’etichetta di “degenerato”.

La sua arte è un promemoria: il male non è astratto e continua a vivere, spesso indossando giacca e cravatta e parlando di democrazia.

OGGI: RESISTERE CON I COLORI IN UN MONDO IN BIANCO E NERO

Viviamo tempi di amnesie, in cui i discendenti dell’Olocausto sono riusciti a massacrare decine di migliaia di donne e bambini in nome del razzismo e dell’ideologia etnica.

I muri che Rivera dipingeva oggi sono schermi algoritmici; le ferite che Frida mostrava sono nascoste da filtri.

Eppure, l’arte resiste.

Banksy che strappa via il dolore con l’ironia, Ai Weiwei che trasforma i “mattoni censurati” in opere, Kara Walker che usa le ombre per raccontare ciò che la luce non vuole vedere.

L’arte contemporanea e, soprattutto, gli artisti non hanno bisogno di musei, ma di coraggio.

Di ricordarci che ogni volta che un artista sceglie di rompere il silenzio, sta tenendo accesa una fiamma, in un’epoca di nuovi fascismi e di verità prefabbricate veicolate da giornalisti trasformati in pennivendoli delle propagande, quegli autoritratti, quei murales, quei fiori giganti e quelle ombre ci dicono una cosa semplice: guardate e riflettete con il vostro spirito critico.

Sempre. Anche quando fa male comprendere la verità.

PERCHÉ L’ARTE NON SALVA IL MONDO. MA SENZA DI LEI, IL MONDO NON MERITA DI ESSERE SALVATO.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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