HAROLD ROSENBERG: L’ARTE È RACCONTO DEL MONDO, ALTRIMENTI NON È NIENTE

Locandina dell'articolo di Pasquale Di Matteo HAROLD ROSENBERG. L’ARTE È RACCONTO DEL MONDO, ALTRIMENTI NON È NIENTE

Harold Rosenberg è un nome che, tra le labbra di certi accademici paleolitici, suona come un’eresia.

«Perché parlare di arte e politica insieme? Perché mescolare colori e ideologie, tele e rivoluzioni?» si chiedono.

Semplice: perché Rosenberg non era solo un critico d’arte, ma un sismografo dell’anima, capace di registrare i terremoti silenziosi che scuotono il mondo. Perché sapeva andare oltre il colore e raggiungere l’essenza dei messaggi.

E, visto che oggi la politica sembra un reality show e l’arte un gadget per qualche post su Instagram, forse è ora di riaprire i suoi libri, con urgenza.

L’ARTISTA NON DIPINGE: ESPLODE

Harold Rosenberg, incastrato in quel Novecento fatto di guerre e utopie, ha strappato via il velo ipocrita che separa l’arte dalla vita, perché per lui, l’Action Painting non era un gioco da salotto, ma un atto esistenziale, un “qui e ora” che trasformava la tela in un campo di battaglia.

Così, Pollock non era soltanto un pittore, ma kamikaze dell’inconscio e ogni suo schizzo di colore, una scheggia di verità lanciata contro l’ipocrisia del conformismo.

E la politica?

Quella vera, non la filastrocca dei talk show, nasce proprio lì, nel gesto anarchico di chi rifiuta di essere complice. E Rosenberg sapeva che l’arte è sempre stata scomoda, come un testimone sgradito in un processo truccato.

Non a caso, tutti i dispotismi della storia hanno tentato di censurarla oppure di piegarla al servizio della propaganda, come avvenuto, per esempio, con l’arte degenerata di Hitler e, nel nostro tempo, sfruttando la notorietà di certi artisti per divulgare messaggi e orientare elezioni politiche.

CULTURA: IL PONTE CHE I POLITICI VORREBBERO MINARE

Cultura e politica sono due mondi paralleli, ma distinti?

Ma per favore!

Rosenberg rideva di queste divisioni da manuale, perché la cultura non è un museo in cui stipare migliaia di oggetti polverosi, bensì è il respiro collettivo di un popolo, il termometro che misura la febbre del potere.

E l’arte? L’arte è la radiografia che rivela le fratture nascoste, che scava in profondità, squarciando i veli della propaganda.

Oggi, mentre i governi tagliano fondi ai teatri e riempiono piazze di bandiere di cartapesta, inventando ideologie e personaggi di moda secondo la convenienza del momento – come, per esempio, Greta Thunberg, scomparsa dai riflettori non appena diventata scomoda al sistema – la visione di Rosenberg ci dice che l’“Attenzione, è un inganno”.

Ma aggiunge anche che la cultura è l’antidoto alla retorica tossica dei potenti e del braccio armato della propaganda, quella stampa che ogni regime ha, anche quei governi definiti democratici.

Ci dice che la cultura è l’unica arma per smascherare chi trasforma la libertà in uno slogan da vendere al mercato.

L’ARTE SENZA POLITICA È UNA SOCIETÀ SENZA ESSERI UMANI

La politica senza arte è come un’arringa senza voce, un mero teatrino. Rosenberg lo gridava: l’artista non decora il mondo, lo sviscera. Ogni opera è un atto di accusa, una domanda senza risposta, un grido che buca il silenzio dei complici, un invito ad andare oltre le apparenze, oltre lo strato apicale delle cose.

E i politici?

Quelli veri, non i burattini in cerca di like o gli scendiletto di poteri più elevati, dovrebbero tremare davanti a un quadro. Perché l’arte svela ciò che i discorsi nascondono: la paura, la fragilità, la voglia di ribellione.

Certo, è vero: prima di tutto, dovrebbero avere un’anima per comprenderlo, un quadro!

Rosenberg insegnava: “Se vuoi capire il potere, guarda cosa teme”. E l’arte, oggi come ieri, è ciò che il potere teme di più. Ecco perché tanti tagli al mondo della cultura e della scuola.

Perché un popolo ignorante fagocita qualunque sciocchezza ottriata da chi governa e diventa il migliore alleato di ogni dispotismo. Al contrario, un popolo acculturato mette in discussione ogni cosa e non è facile da abbindolare.

Ovviamente, sottolineo cultura e non istruzione, che sono due concetti diversi: sintetizzando, possiamo dire che l’istruzione rientra nell’immenso insieme della cultura, che non è costituita solo da quanto studiato a scuola, ma comprende soprattutto le letture successive al percorso scolastico. E sono proprio quelle letture a fare la grande differenza.

COMPRENDERE IL MONDO? SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA

Harold Rosenberg non amava le mezze verità. Per lui, comprendere il mondo non era un esercizio da salotto, ma un tuffo nel fango, una lotta corpo a corpo con le ombre della storia, mentre l’arte non era un rifugio, ma uno specchio rotto che ti costringe a guardare le tue crepe.

Oggi, tra social network e verità preconfezionate, il suo messaggio risuona più che mai e ci invita a smettere di fingere.

L’arte non è una stringa di hashtag, così come la politica non è un meme. Sono sangue, sudore, lacrime. Sono gioia e tradimenti, tormento e rassegnazione. Speranza e voglia di rivalsa.

E se non avete il coraggio di “sporcarvi le mani della mente” e di metterci la faccia, restate pure a guardare.

Ma non chiamate vita l’alzarvi ogni mattina per andare a scuola, in modo da diventare abili a essere ottimi lavoratori. In modo da svegliarvi per decine d’anni solo per andare a lavorare, aspettando che arrivi presto il fine settimana. Che arrivino presto le vacanze estive e Natale.

ROSENBERG OGGI? SAREBBE UN TWEET SCOMODO

Harold Rosenberg, oggi, sarebbe un eretico. Un dissidente in un’epoca che venera l’apparenza e censura il dissenso.

I suoi scritti verrebbero bollati come “fake news”. Le sue critiche? Cancellate con un click.

Ma il suo cuore batte ancora, nascosto in ogni opera che osa dire la verità. Perché Rosenberg non è morto. È solo diventato invisibile, come tutte le cose scomode.

E se avete ancora il coraggio di ascoltare, di voler capire, provateci. Prendete un suo libro e leggetelo.

Perché l’arte, quella vera, non consola.

Fa male.

E, proprio per questo, ci salva.

Le Menti Invisibili, è il nuovo romanzo di Pasquale Di Matteo

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Una opinione su "HAROLD ROSENBERG: L’ARTE È RACCONTO DEL MONDO, ALTRIMENTI NON È NIENTE"

  1. Molto immodestamente mi ci ritrovo in Rosemberg. Mi ci ritrovo nelle chiacchierate pubbliche con il Dott. Di Matteo, che nulla hanno a che vedere formalmente con l’arte ma molto con la politica e il mondo, inteso come geopolitica. Mi ci ritrovo nel suo apporto critico al mio pensiero e alle mie opere che intervengono per mettere a nudo le contraddizioni del sistema economico-sociale-politico-artistico che ci circonda e tenta di inquadrarci come sottomessi soldatini. Insomma, grazie al “cugino (pensatore)” Rosemberg e grazie a Pasquale di Matteo per le sue sincere, oneste, profonde dissertazioni.

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