PERCHÉ L’UNIVERSITÀ È IL PASSAPORTO PER UN FUTURO UMANO NELL’ERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Immagine di copertina dell'articolo di Pasquale Di Matteo sul futuro della scuola e del mondo

Immaginate un crocevia. A destra, una strada larga, sicura, lastricata di certezze immediate, con un lavoro dopo il diploma, una busta paga dopo il primo mese di lavoro, l’illusione del successo.

A sinistra, un sentiero che sale verso vette nebulose, incuneandosi tra boschi scuri e minacciosi, dove la fatica dello studio si mescola all’inquietudine dell’ignoto.

È qui che si gioca il futuro di una generazione. Non è una scelta tra carriera e istruzione, ma tra fallimento e successo. Tra sopravvivere e vivere.

IL LAVORO CHE CONOSCIAMO STA MORENDO

Circa il 90% dei lavori oggi accessibili con un diploma sparirà, divorato da algoritmi e bracci meccanici.

Commessi, impiegati, operai, mansioni collegate in qualche modo alla produzione di merci, mestieri che un tempo erano colonne portanti della società, diventeranno reliquie di un’era pre-digitale.

I robot non scioperano, non si ammalano, non riposano e non hanno hobby o impegni. Non hanno figli da andare a prendere a scuola né genitori da accudire o parenti da incontrare durante le Feste.

I robot lavorano h24, 365 giorni l’anno.

Sono perfetti per gli imprenditori che cercano dipendenti affidabili, ma sono un cancro inguaribile per chi credeva che un titolo di studio medio fosse sufficiente per garantirsi un futuro.

Non è una previsione. È un lento, inesorabile tsunami che sta già inondando le fabbriche, gli uffici, i supermercati.

Eppure, c’è chi ancora consiglia ai giovani di “essere pratici”, di scegliere istituti tecnici perché serve “imparare un mestiere”.

Ma quei consigli sono una condanna a morte. Sono come insegnare a nuotare a chi sta per affrontare un deserto.

SCEGLIERE LA SCUOLA SUPERIORE ORA SIGNIFICA DECIDERE SE CI SARAI ANCORA TRA VENT’ANNI

Per chi esce dalla terza media, la posta in gioco è ancora più alta di chi deve scegliere il percorso universitario.

Istituti tecnici e professionali?

Li sconsiglio: sono percorsi che promettono specializzazione, ma che rischiano di trasformarsi in trappole, poiché formare “il miglior operaio” o “il miglior impiegato” oggi equivale a preparare un atleta per gareggiare in uno sport che verrà abolito.

E, se non sei convinto, prova a domandarti se saresti disposto a lavorare come i robot e le AI, gratis, senza mai riposare, H24 e ogni giorno dell’anno, senza chiedere mai ferie e permessi o un riposo perché è Natale.

Ovviamente, non sei disposto. Ma perché un’azienda dovrebbe preferire avere te, che costerai un bonifico ogni mese, che starai in malattia e assente nei week end e nei periodi di festa e di ferie, quando può avere un robot a costo zero?

Perciò, ammesso che tu non voglio fallire nella vita, scarterei le scuole che servono a “insegnare un lavoro”, perché, come abbiamo visto, quel lavoro non ci sarà più.

I licei, con la loro apparente astrattezza, sono invece fari nella nebbia. Non insegnano un mestiere, ma a pensare, a studiare, a imparare e a formarsi in maniera eccellente.

I licei aprono la mente e insegnano a problematizzare, criticare, immaginare. Sono palestre per menti flessibili, uniche armi contro un futuro dove la costante sarà il cambiamento.

L’UNIVERSITÀ NON È UN LUOGO, MA UN PORTALE PER LA VITA.

Quelli che caldeggiano per gli istituti che “insegnano un lavoro” criticano i filosofi come sognatori inutili.

I sociologi come chiacchieroni. Gli psicologi come confessori da salotto.

Eppure, quando milioni di disoccupati si troveranno a fronteggiare non solo povertà, ma una crisi di identità epocale, saranno loro i nuovi medici dell’anima. E non serviranno esperti di torni e frese, ma proprio psicologi, sociologi e filosofi.

Serviranno esperti di diritto per riscrivere le costituzioni nell’era dei robot. Laureati in economia capaci di trasformare il reddito universale in speranza concreta. Architetti sociali che ricostruiranno il concetto stesso di “lavoro” quando produrre sarà riservato a robot e ad AI.

Serviranno anche artisti capaci di intrattenere e far pensare. Musicisti, cantanti, cabarettisti, attori, scrittori, pittori. Gli esseri umani avranno bisogno di incontri, di sostenersi, di dibattere, riflettere, ridere, gioire.

Ovviamente, avremo bisogno di medici e infermieri, anche se questo settore sarà sempre più contaminato da AI e robot, ma, a differenza dei settori produttivi, qui algoritmi e macchine saranno un supporto per migliorare l’efficienza umana e non una totale sostituzione.

INGEGNERI UMANISTI: L’IBRIDO ESSENZIALE

Le fabbriche del futuro avranno bisogno di ingegneri in tuta da lavoro. Gente che sappia porre domande alle macchine, che sappia farle rendere al meglio, che sappia controllarle.

Serviranno anche scienziati con occhi da poeti, capaci di vedere nei dati non solo numeri, ma storie e futuro.

Chi controllerà l’intelligenza artificiale dovrà padroneggiare il codice, ma anche l’etica. Capire la meccanica quantistica, ma anche la fragilità di un cuore e di un’anima umani.

Saranno ponti tra due mondi, traduttori di un linguaggio universale che ancora non esiste.

LA SCELTA FINALE: COSTRUIRE MACCHINE O COSTRUIRE SIGNIFICATI?

Più le macchine diventano intelligenti, più l’uomo deve riscoprire la sua essenza non replicabile, dunque.

Creatività, empatia, capacità di dare senso al caos, questo sarà il nuovo capitale umano.

A chi mi chiede: “Ma serviranno davvero tutti questi laureati?”, rispondo con un’altra domanda:

“Chi accompagnerà l’umanità nel suo pianto, quando realizzerà di aver creato dei sostituti perfetti? Chi canterà l’elegia del lavoro come rito sociale? Chi trasformerà il lutto per un’era morente in inno per una rinascita?”

E ancora: “come gestire e controllare le macchine con un misero diploma?!”

“Come capire il mondo, sempre più complesso, multiforme e articolato, e come distinguere il vero dal falso dalle notizie veicolate dai media, con un semplice diploma?”

STUDIARE È UN ATTO ESISTENZIALE RIVOLUZIONARIO

Non si tratta di sopravvivere all’AI. Si tratta di ricordare, attraverso la filosofia, l’arte, la scienza pura, cosa significhi essere umani.

Ogni libro letto, ogni equazione risolta, ogni dialogo socratico sarà un chiodo nella bara del determinismo tecnologico.

Ai ragazzi dico di scegliere di diventare ciò che le macchine non potranno mai essere.

Non perfetti. Non efficienti. Ma vivi, tremanti, meravigliosamente imperfetti. Costruttori di mondi, non di prodotti. Perché a costruire prodotti ci penseranno AI e robot a costo zero.

Il futuro appartiene a chi oserà studiare l’umano nell’era post-umana. A chi si specializzerà per regalare musica, arte, letteratura, intrattenimento. Supporto, aiuto, guida sociale, politica, economica.

Il mondo della produzione e dell’industria umana è morto.

Tutto il resto è rumore.

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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