PERCHÉ UN ARTISTA SENZA BRANDING NON SOPRAVVIVE E COME IL BRANDING È UN INVESTIMENTO PER IL SUCCESSO FUTURO

Il mondo dell’arte è cambiato, ma molti operatori artistici fingono di non accorgersene.

E mentre il mercato corre, loro restano fermi a pratiche di un secolo fa, aggrappati a figure stucchevoli come storici e critici dell’arte che vivono ancora di cerimonie polverose e opinioni autoreferenziali, in mostre fiume definite di successo solo perché organizzate in contesti lussuosi o di pregio.

Fiere, mostre collettive con decine di artisti, eventi che promettono visibilità al vernissage e lasciano solo ricevute da pagare. Questi non sono strumenti di crescita, ma tempo e denaro buttato via.

Sono anestetici che illudono di “fare carriera” mentre il mondo reale va avanti.

Il problema è che nessuno, in questi circuiti che perseguono le stesse pratiche del secolo scorso, ha solide basi di comunicazione e branding.

Al massimo hanno dato qualche esame di marketing (quando il professionista è laureato), ma, il più delle volte, il professionista ha studiato marketing ben prima che nascesse Internet, perciò ha speso i suoi studi su strategie che funzionavano prima dei social, prima delle AI e delle AGI.

Oggi, sono inutili.

La lezione di Kodak è lì a ricordarcelo.

Quando un suo ingegnere, Steven Sasson, inventò la fotocamera digitale e la propose ai manager di Kodak, la direzione lo derise. «Abbiamo sempre venduto carte e rullini e siamo i migliori al mondo. La gente non vuole vedere le foto su piccoli schermi», dissero.

Oggi Kodak è un ricordo sbiadito, un’azienda che ha dichiarato fallimento più di dieci anni fa, ma le fotografie digitali sono ovunque: nei nostri smartphone, nei social, sui tablet…

Chi si muove nell’arte pensando “si è sempre fatto così”, farà la stessa fine.

LA REALTÀ DEL MERCATO PER GLI ARTISTI DI OGGI

Viviamo in un’epoca di sovrapproduzione creativa. Troppi pittori, troppe mostre, troppi eventi.

Ogni giorno milioni di opere invadono il web con post condivisi su gruppi che servono a far crescere chi gestisce il gruppo, mai gli artisti. Nel giro di ore, vengono inghiottite da centinaia di altre foto.

Su Instagram è anche peggio.

Il talento non è più raro e ricercato ma è ovunque. E quando qualcosa è ovunque, diventa invisibile se non ha una precisa identità. Ancora peggio, si confonde con chi talento non ne ha.

Molti artisti non hanno una domanda primaria chiara, non sanno a chi parlano, non sanno cosa desidera il loro pubblico né sanno perché qualcuno dovrebbe scegliere loro e non un altro.

E mentre alcuni svuotano il conto per partecipare a decine di mostre collettive e a collezionare attestati di partecipazione, il pubblico che conta raramente si fa vedere in una fiera mercato, preferendo inseguire chi ha saputo costruire un brand.

Chi ha un nome per cui valga la pena muoversi da casa.

IL RUOLO CRUCIALE DEL BRANDING PER L’ARTISTA

Il branding è ciò che trasforma un artista da comparsa a protagonista.

Per comprendere il concetto, immaginate che abbiate a disposizione 100000 euro per acquistare un’opera d’arte. Siete dei collezionisti e volete solo il meglio.

Vi propongono un’opera di un tizio che non avete mai sentito. È bellissima, eseguita con una tecnica sopraffina e vi piace. La richiesta è di 7000 euro, ma sapete già che il suo valore farà fatica a salire perché è il nome che fa crescere le quotazioni.

Poi vi presentano una figurazione triste, con gli arti quasi deformi. Un’opera che genera angoscia, ma è firmata Picasso ed è un affarone da prendere al volo, perché il proprietario è morto, lasciando la moglie piena di debiti e la dà via per 80000 pur di realizzare immediatamente l’affare.

Ovviamente, la comprate al volo. Non vi piace, non è bella come l’opera di 7000 euro, ma il suo valore futuro è esponenziale perché il brand del suo autore è eccellenza.

Ora, l’esempio è un caso limite, ma il brand decide il successo o il fallimento. Sempre.

È la cornice che valorizza l’opera. È il filo rosso che lega ogni creazione, messaggio e interazione con il pubblico.

Fare branding significa differenziarsi radicalmente.
Significa creare un’identità coerente, riconoscibile, memorabile.
Significa generare fiducia.

Il pubblico compra ciò che riconosce. E il pubblico compra sempre ciò che riconosce.

Il branding è posizionamento strategico, è la voce unica con cui ti rivolgi al mondo, l’esperienza che fai vivere a chi ti scopre, la promessa che mantieni ogni volta.

LE CONSEGUENZE DEL NON FARE BRANDING

Senza branding, si diventa invisibili, inutile raccontarci frottole.

Con le collettive viste e riviste, con i soliti personaggi di sempre, non si costruisce una comunità di sostenitori, ma un pubblico occasionale che a malapena ricorda il vostro nome al vernissage e, se lo ricorda quella sera, lo dimentica in fretta.

Senza branding, il valore percepito del lavoro crolla e diventa impossibile giustificare prezzi sostenibili.

E quando non si riesce a vendere al prezzo giusto, si cade in un circolo vizioso di svendite, compromessi e insoddisfazione e si rischia l’estinzione professionale.

Non per mancanza di talento, ma per assenza di strategia e di visione. Kodak docet.

BRANDING: UN INVESTIMENTO A LUNGO TERMINE

Il branding non è pubblicità, come pensa chi non ha studiato branding negli ultimi cinque anni.

Non è la promozione di un singolo evento o di una singola opera, ma è la costruzione di valore.

Non porta vendite immediate, ma costruisce reputazione. Perché la reputazione diventa capitale economico nel tempo.

Un marchio forte trasforma il nome dell’artista in una marca riconosciuta, crea legami emotivi e genera appartenenza. Allora arriveranno le vendite. E ai giusti prezzi, senza svendite.

STRATEGIE PER COSTRUIRE UN MARCHIO ARTISTICO DI SUCCESSO

  • Coerenza assoluta: ogni colore, parola, messaggio, immagine devono essere riconducibili a un’unica identità. Poi ci sono delle eccezioni, soprattutto con professionisti poliedrici, che si occupano di tante attività differenti, ma anche in quel caso si deve trovare il filo conduttore che lega ogni elemento.
  • Io, per esempio, mi occupo di arte, sia come ideatore e organizzatore di eventi, sia in qualità di critico d’arte internazionale; mi occupo di strategie HR orientate ad affrontare i 2 più grandi problemi che ogni tipo di organizzatore dovrà affrontare nel prossimo futuro: difficoltà intergenerazionali, con giovani e storicizzati sempre più diversi, e con l’avvento delle AI; scrivo libri (romanzi, saggi e cataloghi d’arte, saggi di sociologia e sulle strategie HR); collaboro con testate editoriali scrivendo articoli di analisi geopolitiche. Il filo conduttore è costituito dalla Comunicazione. Ogni aspetto della mia attività è comunicazione.
  • Storytelling reale: la verità emoziona più della perfezione. Racconta il tuo percorso, le difficoltà e le scelte.
  • Coinvolgimento costante: il pubblico deve sentirsi parte di un viaggio, non spettatore occasionale. E non cercare di piacere a tutti, altrimenti non piacerai a nessuno, perciò sii onesto/a ed esprimi sempre il tuo parere. Ricorda che anche Lady Gaga non piace a tutti. Anzi, i suoi fan sono una percentuale piccola degli abitanti del pianeta, eppure è su quelli che lei focalizza il suo successo e il suo brand.
  • Ecosistema strategico: circondati di persone che capiscono branding, comunicazione e mercato attuale, non di nostalgici delle strategie del secolo scorso, di chi ti propone cataloghi vecchia maniera, con centinaia di artisti da inserire in volumi che sembrano grandi come album di nozze. E lasciate perdere le firme blasonate. Ai veri collezionisti interessa il vostro nome, il vostro brand. Non quello del professore, del critico blasonato, del personaggio famoso, della location prestigiosa o di altri elementi che facevano la differenza fino a trent’anni fa.

CASI DI SUCCESSO E SPUNTI DI RIFLESSIONE

Banksy ha trasformato l’anonimato in brand, Yayoi Kusama ha trasformato delle ossessive ripetizioni visive in un linguaggio distintivo e inconfondibile.

La differenza tra chi ha investito nel brand e chi no è incontrovertibile: chi crea prima un brand, arriva e resta; chi non ce l’ha non arriva. E se arriva per un colpo di fortuna o perché ha qualche santo in paradiso, diventa presto una meteora.

Il mondo dell’arte che opera come nel secolo scorso è destinato a scomparire.

Oggi, vale molto più una mostra virtuale ben fatta di tanti eventi fisici, perché non è più la mostra l’elemento più importante, ma la costruzione del branding che viene fatta intorno a quella mostra.

Cosa impossibile da fare con la partecipazione di decide e decine di artisti, che diventano solo bancomat da spennare.

Quali figure cercare allora?

Beh, chiedete sempre che il professionista a cui vi affidate abbia una laurea in Scienze della Comunicazione. Il branding è Comunicazione!

Non andreste mai da un dentista la cui laurea è in Giurisprudenza, no? Allora perché affidare il vostro brand a chi ha studiato solo storia, solo arte…?

Ed evitate quegli eventi con troppi partecipanti, in cui è impossibile fare branding.

Evitate anche quegli eventi che, passato il vernissage, vi lascia solo con un selfie scattato accanto alla locandina della mostra, mentre puntavate l’indice sul vostro nome, in modo da individuarlo in una lista infinita di nomi.

Ogni evento deve elevare il vostro nome per gli algoritmi dei motori di ricerca. Ma se cercate quella mostra e di voi non trovate nulla, avete buttato via i soldi.

Il branding è una cosa seria e non è un optional, perché, se un pittore vuole emergere e diventare artista vero, il branding è il motore della sopravvivenza.

La domanda non è se cambiare, ma quando.

E se la tua risposta è «Ci penserò. Forse più avanti», sappi che “più avanti” potrebbe essere troppo tardi.

Critico d’arte Di Matteo Pasquale in Giappone

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Lascia un commento