John F. Kennedy è ricordato per essere stato l’ultimo dei quattro presidenti americani assassinati durante il mandato, ma quale politica ha attuato?
di Pasquale Di Matteo
RIASSUNTO DELL’AMERICA DI KENNEDY: L’ASCESA
John F. Kennedy vinse le elezioni per la Casa Bianca nel 1960, sconfiggendo il repubblicano Richard Nixon.
Un presidente nuovo, sorridente, il primo cattolico della storia degli Stati Uniti d’America.
Un uomo che era stato decorato per il suo coraggio in battaglia nel Pacifico, durante la Seconda guerra mondiale.
Un viso attraente, rampollo di una delle famiglie più potenti e discusse della nazione, nonché marito di una celebrità per fascino ed eleganza.
Kennedy si impose con una campagna incentrata sull’ideologia del cambiamento, il “New Frontier”, la nuova frontiera, quella che proponeva un cambiamento epocale per la nazione.
Per Kennedy, gli Stati Uniti dovevano mantenere la leadership mondiale e coltivare la strada del capitalismo e dello sviluppo economico, ma era necessario affrontare anche gli squilibri che tale sistema provocava, ascoltando le esigenze dei poveri e degli emarginati.
Tuttavia, il suo mandato è ricordato più per i rapporti con l’Unione sovietica.
RIASSUNTO DELL’AMERICA DI KENNEDY: I RAPPORTI CON CUBA
Kennedy s’insediò presentandosi con il fallimento della missione militare americana che avrebbe dovuto riportare al governo di Cuba il dittatore filostatunitense Batista, cacciato dai rivoluzionari castristi nel 1959, o un altro uomo di fiducia di Washington.
La Baia dei Porci, infatti, ebbe il suo triste epilogo nell’aprile del 1961.
Il 17 aprile 1961, il presidente diede l’ok all’intervento, che prevedeva di far sbarcare 1500 controrivoluzionari cubani, finanziati e organizzati dalla Cia, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Fidel Castro.
Invece, una volta sbarcati a Playa Giron, conosciuta in Italia come Baia dei Porci, i controrivoluzionari furono respinti dal fuoco di sbarramento delle truppe di Castro, ben addestrate e abituate alla guerra durante la rivoluzione.
Alcune navi appoggio degli invasori americani vennero affondate e gli Stati Uniti furono costretti alla resa.
Tale figuraccia a livello mondiale costò non soltanto a livello d’immagine, ma anche circa 100 milioni di dollari.
Tre mesi più tardi, Kennedy sollevò dal suo incarico il direttore della Cia, probabilmente proprio a causa del fallimento dell’operazione alla Baia dei Porci.
La disfatta indebolì non solo l’egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ma riequilibrò i rapporti con Cuba e con l’intera America latina in maniera negativa per Washington.
L’ideologia castrista aveva resistito a una superpotenza e l’altra superpotenza che aveva aiutato Cuba indirettamente ottenne ampi consensi laddove gli Stati Uniti li perdevano.
La disfatta della Baia dei Porci provocò ripercussioni anche interne agli USA.
In virtù anche di questa situazione, il nuovo presidente focalizzò attenzione e ingenti spese per colmare le lacune del sistema difensivo americano rispetto a quelle di Mosca. Incentivò lo sviluppo del sistema missilistico dei sistemi di armamenti non convenzionali e promosse un forte incremento della ricerca in ambito aerospaziale.
Fu proprio lo spazio il “terreno” su cui si sarebbero misurate per anni le due superpotenze, a suon di missioni dal forte impatto mediatico, tra presunti montaggi cinematografici e la voglia di affermare la propria superiorità rispetto al nemico.
Proprio lo sbarco del primo uomo sulla Luna, che sarebbe avvenuto il 21 luglio 1969, è a tutt’oggi uno dei più controversi e dibattuti eventi della storia.
Di fatto, Kennedy ribaltò la politica di Dwicht Eisenhower, il suo predecessore, che aveva puntato sulla militarizzazione dei paesi europei, riducendo le spese militari degli Stati Uniti.
La perdita di influenza su Cuba, governato da sempre da regimi amici di Washington, generò un nuovo corso e aumentò il livello di tensione con l’Unione sovietica, che ebbe il suo culmine nel 1962, in seguito al dispiegamento di missili sovietici sul suolo cubano.
Gli americani scoprirono che a Cuba si stava costruendo una base missilistica. Era il 14 ottobre 1962.
Per costringere i sovietici a smantellare la base, Kennedy istituì un blocco navale intorno alle coste di Cuba.
Tuttavia, al di là dei muscoli mostrati ai media, l’Amministrazione a stelle e strisce intavolò trattative segrete direttamente con Chruščёv.
Il 28 ottobre, Mosca accettò di ritirare i missili in cambio dell’impegno degli Stati Uniti a non invadere Cuba e a ritirare i missili nucleari NATO dalla Turchia.
Quest’ultimo punto fu tenuto segreto per qualche tempo, per non danneggiare ulteriormente l’immagine degli Stati Uniti, già compromessa dalla perdita dell’influenza su Cuba e dal fallimento della Baia dei Porci.
(Puoi approfondire l’argomento cliccando sul link seguente: https://pasqualedimatteo.com/2023/02/22/washington-vs-mosca-minaccia-nucleare/vs-mosca-minaccia-nucleare/)
RIASSUNTO DELL’AMERICA DI KENNEDY: LA POLITICA ESTERA
In verità, proprio grazie alla gestione della crisi missilistica, con il contatto diretto tra i due presidenti, tra Washington e Mosca cominciarono contatti e trattative per limitare i test nucleari e le tensioni internazionali.
Il 5 agosto 1963, si arrivò al trattato tra le due superpotenze che prende il nome di Partial Test Ban Treaty, che bandì i test nucleari in atmosfera, nello spazio e sott’acqua, lasciando possibili solo quelli sotterranei.
Per approfondire: https://en.wikipedia.org/wiki/Partial_Nuclear_Test_Ban_Treatyhttps://en.wikipedia.org/wiki/Partial_Nuclear_Test_Ban_Treaty

In politica estera, Kennedy lanciò una campagna di aiuti economici nei confronti dei paesi latini, in cambio dell’influenza americana.
Con tale piano, gli Stati Uniti tentavano di riprendere consensi e di limitare la diffusione del comunismo in Sudamerica.
Nei confronti dell’Europa, gli americani adottarono una linea di coesistenza pacifica e, pur contrario alla costruzione del Muro di Berlino, che Kennedy criticò apertamente nel 1963, gli USA lasciarono fare.
RIASSUNTO DELL’AMERICA DI KENNEDY: IL FRONTE INTERNO
Sul fronte interno, Kennedy si concentrò sulla lotta alle diseguaglianze, varando una serie di riforme che per anni erano state osteggiate anche dal suo stesso partito.
Già nel 1956, era stata la Corte Suprema a dichiarare incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus ed era venuto alla ribalta la figura di Martin Luther King, a guida della protesta afroamericana per i diritti civili.
Kennedy si concentrò proprio sui diritti nel mondo del lavoro, nelle scuole, nei luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto.
John Kennedy appoggiò apertamente le richieste di Martin Luther King e, nell’aprile 1963, chiese al
Congresso di emanare leggi che garantissero anche agli afroamericani l’accesso ai servizi e alle strutture
pubbliche e private, ma anche che vietassero le discriminazioni nel mondo del lavoro.
Proprio al 1963 risale il celebre discorso del pastore afroamericano “I have a dream”, sull’idea di una nazione in cui ogni cittadino potesse essere libero, senza vincoli legati al colore della pelle.
Nel 1964, il Congresso avrebbe varato il Civil Rights Act, la legge organica sui diritti civili, che eliminò il sistema della segregazione legalizzata e affermò il principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini.
La legge fu il più grande successo interno di John Kennedy, anche se il presidente non poté vederla promulgata.
Infatti, fu assassinato a Dallas il 22 novembre 1963.
Tuttavia, come spesso accade, una volta ottenuta la sacrosanta parità di diritti, una frangia estremista delle organizzazioni che si battevano per i diritti dei cittadini afroamericani promosse una nuova visione della nazione, a supremazia nera.
Si sviluppò un movimento separatista che si batteva per la rivoluzione nera e l’affermazione della superiorità razziale dei neri. Tale movimento, guidato da Malcolm X, non disdegnò anche il ricorso alla violenza.
Dopo l’assassinio del presidente, il suo successore, Lyndon Johnson, dopo aver trionfato alle Presidenziali del 1964, incentrò la sua presidenza sul perseguimento degli obiettivi dell’agenda di Kennedy, perciò portò avanti la lotta alle discriminazioni contro gli afroamericani.
Johnson varò anche un innovativo sistema di assicurazioni sanitarie gratuite per gli anziani e per i poveri.
Poi, il nuovo presidente si concentrò su altri settori sociali: incrementò i sussidi di disoccupazione e riformò il sistema scolastico per favorire la scolarizzazione degli afroamericani.
Grazie a queste politiche, si produssero un innalzamento del livello di istruzione e di reddito di questa popolazione. La libertà garantita a tutti i cittadini favorì anche l’elezione di uomini di colore nelle istituzioni federali.
Tuttavia, malgrado gli indiscussi passi avanti, le nuove leggi, ispirate alla nuova visione finalmente democratica, l’America non eradicò il razzismo di una larga fetta di popolazione bianca negli stati del sud e produsse ghetti nelle città più moderne e acculturate del nord.
Tra il 1965 e il 1968 nacquero diversi nuovi movimenti che si scagliavano contro razzismo e ghettizzazione, nonché contro l’enorme dispendio in termini di denaro e di vite umane nella guerra del Vietnam.
Gli Stati Uniti erano impegnati nella ragione già da circa un decennio, ma fu proprio Johnson a decidere di trascinare gli Stati Uniti in quella che, prima della sconfitta in Afghanistan, sarebbe rimasta per lungo tempo la più scottante sconfitta della superpotenza.

