COMUNICAZIONE A RISCHIO: ASSANGE E I PERICOLI PER LA LIBERTÀ

La libertà di comunicare è a rischio: il Caso Assange e le sue implicazioni

La recente risoluzione del caso di Julian Assange, attraverso un patteggiamento che ha messo fine a dodici anni di persecuzioni e torture psicologiche, rappresenta un pericoloso precedente per la libertà di informazione e di espressione.

Questo caso, lungi dall’essere un semplice incidente di percorso, ha dimostrato come le cosiddette culle della democrazia, Stati Uniti e Regno Unito, sappiano adottare metodi oppressivi e gabbie per chi osa svelare verità scomode.

Julian Assange ha incarnato il coraggio e l’integrità del giornalismo investigativo, pubblicando documenti autentici che hanno portato alla luce crimini e segreti di Stato, dimostrando come non vi sia una grande differenza tra paesi dittatoriali e presunte democrazie.

E come l’immagine distorta di potenze e democrazia veicolata dai film hollywoodiani sia più propaganda che realtà.

Tuttavia, invece di essere celebrato come un eroe della libertà di stampa, Julian Assange è stato trasformato in una vittima sacrificale, costretto a rifugiarsi per sette anni nell’ambasciata ecuadoregna e a subire cinque anni di isolamento carcerario in Gran Bretagna.

Il suo patteggiamento, estorto in cambio della libertà, non è altro che una tragica parodia della giustizia, una dimostrazione di come i potenti possano manipolare le leggi per silenziare le voci dissidenti.

COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE SONO IN PERICOLO

Questa vicenda solleva serie preoccupazioni per il futuro del giornalismo e di chi fa informazione e comunicazione.

Il patteggiamento di Assange espone tutti i giornalisti che prendono sul serio il loro lavoro al rischio di arresti e condanne, scoraggiando chiunque voglia seguire le sue orme, documentando crimini, conducendo inchieste e/o anche solo ponendo domande scomode e non concordate.

In un mondo in cui la libertà di espressione è già minacciata da leggi sempre più restrittive e da una crescente sorveglianza in cui vengono coinvolte anche le piattaforme social, trasformate in censori delle notizie non assuefatte ai pensieri unici, il caso Assange rappresenta un ulteriore passo verso la censura e l’autocensura.

La reazione della stampa italiana a questo caso è emblematica, quanto sconcertante.

Anziché difendere un collega che ha nobilitato la professione, molti giornalisti hanno preferito seguire la linea dei potenti, ridicolizzando Assange e minimizzando l’importanza delle sue rivelazioni.

Alcuni hanno liquidato la vicenda come un semplice “clamore mediatico”. Altri media lo hanno etichettato come un “ladro di segreti di Stato” o un “hacker putiniano”, distorcendo la realtà e servendo interessi particolari.

Magari, gli stessi interessi seguiti quando questi pennivendoli hanno dato ampio risalto a fake news diventate ormai note:

dai green pass che servivano a creare luoghi sicuri, alle sanzioni occidentali che avrebbero piegato Mosca già a maggio 2022; da Putin dato per morto a causa di almeno cinque malattie differenti, all’esercito russo senza munizioni e costretto a smontare micrichip dalle lavastoviglie degli ucraini.

Una quantità industriale di balle spacciate per dogmi indissolubili, mentre chiunque dissentiva e criticava veniva additato come complottista, novax, putiniano, dispensatore di fake news.

Questa mancanza di solidarietà e di integrità professionale è preoccupante, soprattutto perché perpetrata da chi sceglie da settimane di parlare di futilità pur di non informare sul genocidio che la tanto declamata democrazia israeliana sta compiendo a Gaza.

Per questi pennivendoli è meglio il calcio che la mattanza che ha già superato la cifra impressionante di 35000 morti. TRENTACINQUEMILA!

Se i giornalisti non sono disposti a difendere uno dei loro, chi sarà il prossimo a cadere vittima di persecuzioni politiche? Chi avrà il coraggio di svelare verità scomode se il prezzo da pagare è così alto?

E se persino i giornalisti di professione sono zittiti, cosa accadrà alla libertà dei blogger, degli esperti di comunicazione e dei cittadini comuni?

La libertà di informazione è un pilastro fondamentale della democrazia e la sua erosione rappresenta una minaccia per tutti noi, primo vagito di una dittatura.

Chiunque lavori nel campo della comunicazione non può esimersi dal dire grazie a Julian Assange e deve comprendere che il suo caso non riguarda solo un singolo individuo, ma la tenuta stessa della libertà di comunicare.

È un monito per tutti noi: se permettiamo che i giornalisti vengano perseguitati per aver fatto il loro lavoro, rischiamo di vivere in un mondo in cui la verità è un lusso che non possiamo più permetterci.

Difendere Assange significa difendere il diritto di sapere, di indagare e di parlare senza paura.

Il diritto di comunicare e di non vivere nel mondo immaginato da Orwell in 1984.

Pasquale Di Matteo

Locandina pubblicitaria del libro "Dubbi & Verità", di Pasquale Di Matteo e Danilo Preto

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