BORIS JOHNSON E I NEGOZIATI TRA UCRAINA E RUSSIA: UNA VERITÀ SCOMODA

È vero o no che Boris Johnson ha sabotato le trattative di pace tra Ucraina e Russia nel 2022?

Una domanda che divide giornalisti, analisti e politici, mentre il conflitto in Ucraina continua a mietere vittime e a segnare il destino geopolitico – ed economico – dell’Europa.

Se da un lato, alcuni media sostengono che le accuse contro l’ex premier britannico siano esagerazioni prive di fondamento, cioè mera propaganda di Mosca, dall’altro le evidenze raccolte suggeriscono un quadro ben più complesso e meno innocente di quanto si voglia far credere.

IL CONTESTO: LA GUERRA E I NEGOZIATI DI ISTANBUL

Nella primavera del 2022, mentre l’esercito russo falliva nel prendere Kiev e l’Ucraina resisteva con un sorprendente supporto occidentale, si tenevano a Istanbul colloqui di pace tra le delegazioni di Mosca e di Kiev.

Secondo diverse fonti, le trattative erano focalizzate su questioni strategiche chiave: la neutralità dell’Ucraina, il suo status internazionale e il futuro degli armamenti nel dopoguerra.

Il professor Sergey Radchenko e il politologo Samuel Charap, in uno studio recentemente pubblicato, confermano che vi furono momenti in cui entrambe le parti mostrarono aperture significative.

La Russia, ad esempio, avrebbe accettato di discutere lo status della Crimea, pur restando contraria a ogni possibilità di ingresso nella Nato dell’Ucraina, mentre Kiev chiedeva garanzie di sicurezza difficili da ottenere, ma non impossibili.

Nonostante queste aperture, i colloqui si arenarono. Perché?

BORIS JOHNSON: IL RUOLO DI UN PROTAGONISTA INGOMBRANTE

Emma Ashford, nel suo articolo su The Guardian dell’aprile 2024 (Fonte: clicca qui), evidenzia che Boris Johnson non sabotò direttamente un accordo già pronto: non c’era infatti alcun documento definitivo. Tuttavia, è impossibile ignorare il peso che l’allora primo ministro britannico ebbe nel condizionare il corso delle trattative.

Secondo fonti ucraine, confermate da alcuni report di media russi e occidentali, Johnson visitò Kiev nel momento cruciale dei negoziati.

Qui, avrebbe esplicitato il messaggio della NATO: nessun accordo con Mosca, continuare a combattere.

Stando a quanto riportato da Ukrainska Pravda, Johnson avrebbe dichiarato a Zelensky che l’Occidente non avrebbe riconosciuto alcun compromesso territoriale con la Russia e che l’appoggio militare sarebbe stato garantito solo se Kiev avesse continuato la resistenza.

In effetti, le azioni dell’ex premier britannico non possono essere considerate come semplici visite diplomatiche, ma erano, invece, parte di una strategia ben precisa per mantenere alta la pressione su Mosca.

Il Regno Unito, a capo di una fazione di paesi occidentali contrari a qualsiasi concessione, vedeva nei negoziati un pericolo per l’unità dell’alleanza occidentale contro la Russia.

Questo è confermato anche da analisi successive che sottolineano come la promessa di aiuti militari da parte di Londra e Washington abbia influenzato la posizione ucraina, rendendo meno urgente un compromesso.

LE CONSEGUENZE DELLE INTERFERENZE OCCIDENTALI

Mentre i negoziati di Istanbul si dissolvevano, la guerra entrava in una nuova fase di escalation: gli Stati Uniti e il Regno Unito, in particolare, aumentarono l’invio di armi e il supporto logistico all’Ucraina.

L’idea di una soluzione diplomatica venne, così, accantonata, dando ordine ai media di parlare di propaganda russa, lasciando spazio a una strategia di logoramento che avrebbe avuto un costo umano devastante.

Le ragioni dietro questa scelta non sono difficili da comprendere, d’altronde, e sono la continuazione dell’imperialismo britannico e americano.

Per l’Occidente, una Russia indebolita è un obiettivo strategico. Gli Stati Uniti, infatti, mal digerivano il monopolio russo della vendita di gas all’Europa e, ancora di più, non sopportavano affatto che i paesi europei stringessero accordi commerciali sempre più numerosi e fruttuosi con Mosca e con la Cina.

Agli USA serviva ogni pretesto per spezzare i fili che legavano sempre di più l’Europa a Mosca e Pechino. Ecco perché hanno lavorato con l’intelligence – e non solo – in paesi come la Moldavia, la Georgia e la stessa Ucraina, per interferire nelle elezioni, finanziando politici atlantisti o provocando sommosse, come accaduto in Ucraina.

Quando la Russia ha impedito che la Nato entrasse in Ucraina o che l’Ucraina entrasse nella Nato – che, di fatto, sono la stessa cosa – agli USA non restava altro che combattere una guerra contro Mosca per procura, inviando armi e soldi a Kiev, che, in cambio, avrebbe mandato al macero i propri giovani.

Ma ciò ha significato sacrificare qualsiasi apertura diplomatica a favore di una linea dura.

Infatti, come sostiene Ashford, gli slogan secondo cui non si dovrebbero fare tavoli di pace senza l’Ucraina si rivelano retorica vuota: quando l’Occidente paga il conto, ha sempre l’ultima parola.

Senza dimenticare che, pochi mesi fa, in Svizzera, si sono tenuti tavoli di trattative senza la Russia, circostanza che ha confermato – qualora ce ne fosse bisogno – che viviamo un’era tragicomica.

JOHNSON E LA NATO: UN CALCOLO POLITICO

Boris Johnson, allora in difficoltà politica in patria, non ha agito solo per motivi strategici, ma la sua visita a Kiev e il suo ruolo di “portavoce” della NATO gli hanno permesso di rafforzare la propria immagine come leader internazionale, mentre il suo governo veniva travolto da scandali interni.

Che il suo ruolo gli sia servito per avere in cambio qualche “aiutino”?

Difendere l’Ucraina divenne per Johnson un modo per distrarre l’opinione pubblica britannica e guadagnare consensi sul piano internazionale. Una strategia che chi segue la politica da anni conosce piuttosto bene.

CONCLUSIONI: UNA VERITÀ SCOMODA MA NECESSARIA

Affermare che Boris Johnson abbia sabotato i colloqui di pace del 2022 è forse un’esagerazione, o una semplificazione.

Tuttavia, è innegabile che il suo intervento, come quello di altri leader occidentali, abbia contribuito a chiudere la finestra diplomatica in favore della guerra, così come è innegabile che gli Stati Uniti avrebbero avuto solo da guadagnarci dalla guerra, come è accaduto di fatto.

La promessa di aiuti militari e la pressione per non cedere al ricatto russo hanno indubbiamente pesato sulle scelte ucraine, alimentando una narrazione di guerra totale e perpetua e trasformando il comico al governo di Kiev in un personaggio mediatico.

Infatti, un minuto dopo l’ingresso del primo carro armato di Mosca in Ucraina, Zelensky indossava già una divisa – l’aveva nell’armadio? – ed era in televisione – il suo ambiente naturale – a parlare alla nazione.

Oggi, dopo quasi tre anni di guerra, l’Ucraina ha un peso specifico quasi nullo nelle trattative che ormai chiedono tutti. La Nato ha perso la guerra e questo è innegabile.

Lo stesso Zelensky ha ammesso che non esiste alcuna possibilità che l’Ucraina possa riprendere i territori conquistati dalla Russia. Inoltre, Kiev non ha più giovani da mandare al fronte, ma ha un debito nei confronti dell’Occidente che non potrà mai ripagare.

Nel 2022, la Russia avrebbe avuto timore di una guerra contro la Nato e l’Ucraina era ancora intera, con un esercito spendibile, mentre ora Mosca ha il coltello dalla parte del manico. Ogni giorno di guerra in più significa centinaia di chilometri quadrati di territorio ucraino conquistato.

Una sconfitta non solo militare, ma soprattutto politica dell’Europa.

Perché gli Stati Uniti hanno ottenuto ciò che volevano: allontanare l’Europa da Cina e Russia, mentre i paesi europei ne escono con le economie a terra – anche in virtù di concomitanti scelte green quantomeno discutibili.

La storia dei negoziati falliti tra Ucraina e Russia è un monito: la pace richiede coraggio e compromessi, quei compromessi che all’America non sono sempre piaciuti. Quasi mai, ci racconta la storia, tant’è che, quando Kennedy arrivò a compromessi con Chruščëv, non visse abbastanza a lungo per vantarsene. (Puoi approfondire qui)

Se il 2022 ha dimostrato qualcosa, è che la diplomazia non è solo questione di parole, ma anche di azioni. E queste, spesso, vengono decise lontano dal tavolo dei negoziati, ma molto vicine alle piazze, ai cortei e alle urne.

Emerge anche la pochezza culturale di certi analisti occidentali che farebbero bene a ripassare la storia della Russia (Clicca qui).

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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