IL GENOCIDIO DIMENTICATO: NESSUN GIORNO DELLA MEMORIA PER ALCUNI MASSACRI

Ogni anno, puntuali come un orologio svizzero, i riflettori del mondo si accendono sul Giorno della Memoria.

Beh, diciamolo a chiare lettere: ricordare l’Olocausto è giusto, sacrosanto, doveroso.

Lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 27 gennaio scorso ha ricordato che «la supremazia dello Stato, del partito, sul diritto inviolabile di ogni persona, il culto della personalità e del capo, sono stati virus micidiali è…]»

Beh, chissà se Mattarella ricorderà il periodo del greenpass e l’alienazione del “diritto inviolabile di ogni persona”…

Va beh, al di là della mancanza di coerenza e del politichese di certi politici, torniamo a noi e al Giorno della Memoria.

Peccato, tuttavia, che la memoria, come la storia, sia un optional da applicare a intermittenza: funziona benissimo per alcune tragedie, ma si inceppa inspiegabilmente per altre.

Tipo il genocidio dei nativi americani. Quello sì che è un capolavoro di rimozione collettiva.

Un massacro di milioni di persone, durato secoli, ridotto a una nota a piè di pagina nei manuali scolastici.

E mentre l’Europa si straccia le vesti per gli orrori del Novecento, oltre l’Atlantico c’è chi ha trasformato lo sterminio di interi popoli in un gadget da fiction. Con tanto di happy ending.

LA “SCOPERTA” DELL’AMERICA: QUANDO IL GENOCIDIO DIVENTA EPOPEA

Partiamo dalle basi.

Nel 1492 Colombo sbarca nei Caraibi. Inizia l’epoca delle Grandi Scoperte. O, per dirla con gli indigeni, delle Grandi Catastrofi.

Tra stragi, malattie importate, schiavitù e deportazioni, la popolazione nativa delle Americhe si riduce del 90% in due secoli. Un’ecatombe da 55 milioni di morti, secondo lo studio di scienziati dell’University College London del 2019. Altri istituti parlano di cifre vicine a 100 milioni.

Numeri da Olocausto?

Direi proprio di sì, ma senza musei, senza film premiati agli Oscar, senza giornate commemorative sponsorizzate dall’ONU.

Negli Stati Uniti, poi, la faccenda si fa ancora più grottesca.

Tra il 1776 e il 1890, il governo americano dichiara guerra sistematica alle tribù native, con l’obiettivo di rubare terre, risorse e identità.

Si parte con i proclami di Thomas Jefferson, che, nel 1807, definisce gli indiani “selvaggi senza legge”, per finire con il massacro di Wounded Knee (1890), dove l’esercito statunitense macella 300 Lakota, per lo più donne e bambini.

Nel mezzo, una sequela di trattati non rispettati da quegli “inglesi d’America” che hanno dato vita agli Stati Uniti.

HOLLYWOOD RISCRIVE LA STORIA E LE VITTIME DIVENTANO CARNEFICI

E qui entra in scena la macchina del fango più potente del pianeta: Hollywood.

Mentre i coloni sterminavano i nativi, i cineasti li trasformavano pure in mostri sanguinari. Nei western classici, da Stagecoach (1939) a The Searchers (1956), l’indiano è il barbaro che scalpa bambini, assalta diligenze e minaccia la purezza delle donne bianche.

John Wayne, eroe nazionale, ammazza “pellerossa” come se fossero zombie.

Peccato che la realtà sia esattamente il contrario. Infatti, furono gli Stati Uniti a finanziare cacciatori di taglie per consegnare scalpi di nativi (anche donne e bambini), come nel caso della California, dove nel 1850 un capo indiano veniva pagato 5 dollari, un bambino 2.

Negli anni ’70, qualcuno prova a correggere il tiro: Soldier Blue (1970) e Little Big Man (1970) mostrano i massacri dei militari, ma è una goccia nel mare.

Ancora oggi, film come The Revenant (2015) dipingono i nativi come comparse esotiche, mentre I Segreti di Wind River (2017) deve accontentarsi di denunce marginali.

La svolta arriva con serie TV come Westworld, che ribalta il punto di vista, ma siamo nel 2024; ci sono voluti 500 anni per ammettere che le vittime erano dalla parte giusta.

Persino il capolavoro di Edward Zwick, L’Ultimo Samurai (2003), con Tom Cruise e Ken Watanabe, pur ottenendo un grande successo di critica e di incassi, viene praticamente snobbato agli Oscar.

D’altronde, sarebbe stato imbarazzante premiare un capolavoro della storia del cinema che svela come sia nata “la più grande democrazia del mondo”.

LA RICETTA DEL REVISIONISMO: IGNORARE, DISTRARRE, BANALIZZARE

Come si riscrive un genocidio? Semplice, in tre mosse.

Primo: ignorare.

Nei libri di scuola statunitensi, il massacro dei nativi viene liquidato come “espansione verso Ovest”, un eufemismo da manuale Orwelliano.

Secondo: distrarre.

Si celebra il Thanksgiving, festa della pace tra pellegrini e Wampanoag, dimenticando che 50 anni dopo quel pranzo, gli stessi Wampanoag venivano sterminati.

Terzo: banalizzare.

Si trasforma la tragedia in folklore, con tanto di danze, piume, totem, come se i nativi fossero una razza estinta nel Paleolitico e non milioni di persone ancora vive, confinate in riserve con tassi di povertà da Terzo Mondo.

E l’Italia? Non è da meno.

I nostri telegiornali dedicano servizi strappalacrime ai dinosauri di Jurassic Park, ma nessuno ricorda che nel 1973, a Wounded Knee, gli attivisti Sioux venivano assediati dall’FBI per chiedere il rispetto dei trattati.

O che oggi, nel Nord Dakota, la comunità Standing Rock combatte contro oleodotti che avvelenano le loro terre. Ma quali servizi di reporter coraggiosi avete mai visto?

Meglio parlare di Kim Kardashian, del deretano di Jennifer Lopez o delle “filosofie di vita” di Fedez e Ferragni.

IL PARADOSSO DELLA MEMORIA SELETTIVA: PERCHÉ L’OLOCAUSTO SÌ E GLI ALTRI NO?

C’è chi obietta “Ma l’Olocausto è unico!”.

Vero. Così come unico è ogni genocidio.

Ma perché alcuni entrano nel pantheon delle commemorazioni universali e altri no?

La risposta è data dal potere di chi vince.

Gli Stati Uniti, usciti vincitori dalla Seconda Guerra Mondiale, hanno imposto la loro narrativa, mentre i nazisti sconfitti diventano il Male Assoluto (giustamente), ma i generali americani che proposero soluzioni naziste, tra cui “sterminare i selvaggi”, restano eroi nazionali.

Custer, macellaio di Washita (1868), ha monumenti e città a suo nome. Hitler, animato dalla stessa follia, no.

E l’Europa? Zitta e muta.

Forse perché il colonialismo genocida è un affare di famiglia. Belgio, Francia, Olanda, Portogallo, Spagna, Italia e Regno Unito hanno le mani sporche di sangue in Congo, Algeria, India, Americhe, Somalia, Etiopia.

Meglio non alzare troppo la voce.

LA STORIA È UNO SCHERZO PERCHÈ LA SCRIVONO I VINCITORI

La memoria è un lusso per chi può permettersela e i nativi americani non possono, infatti.

Non hanno lobby potenti né petrolio o eserciti con armi da milioni di dollari a disposizione.

Hanno solo qualche riserva, vere e proprie prigioni a cielo aperto, un po’ di casinò e una montagna di morti dimenticati.

Hollywood, intanto, continua a vendere sogni spesso fantascientifici, come Avatar (2009), con i suoi alieni blu cacciati da umani, metafore tra le più ipocrite del secolo.

Tutti a commuoversi per i Na’vi, che sono personaggi di fantasia, nessuno a ricordare i Cheyenne, che hanno subito il loro vero olocausto.

E mentre il mondo ogni anno twitta #NeverForget, c’è un intero genocidio sepolto sotto il tappeto del politicamente corretto. Con buona di chi la storia la studia e non la subisce e di chi preferisce discutere di come certi cowboy fossero “complessati” al pari di Hitler.

Amen.

IL ROMANZO CHE SVELA IL VERO POTERE MONDIALE

Le Menti Invisibili, è il nuovo romanzo di Pasquale Di Matteo

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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