MARINA ABRAMOVIĆ. IL CORPO COME ATTO RIVOLUZIONARIO NELLA MOSTRA “BETWEEN BREATH AND FIRE”

Bergamo ha avuto l’onore di ospitare una delle più grandi artiste viventi, diventando teatro di un dialogo silenzioso tra carne e spirito, tra vulnerabilità e potere.

Between Breath and Fire” non è stata una semplice mostra, così come di semplice c’è ben poco in Marina Abramović, una delle artiste più complesse e discusse del nostro tempo.

Si è trattato di un rito collettivo, di quel “grido” metaforico che l’artista ha sempre utilizzato per smuovere coscienze, attraverso la trasformazione del corpo in un manifesto, in una enciclopedia su cui scrivere, incidere, ferire, lasciare cicatrici ed emozioni tatuate sulla pelle.

Soprattutto, la mostra è stata una grande esposizione concettuale in cui Marina Abramović ha chiesto: cosa significa essere umani in un mondo che ci chiede di dimenticare la nostra individualità?

L’EREDITÀ DI UNA PIONIERA DEL SACRIFICIO: MARINA ABRAMOVIĆ

Nata a Belgrado, classe 1946, Marina Abramović ha trascorso cinquant’anni a trasformare la sua vita, il suo pensiero e i suoi punti di vista in una forma d’arte.

Le sue performance, sempre spettacolari, talvolta persino discutibili, sono atti di ribellione. Sono filosofia che abbandona la dimensione del pensiero per farsi carne, grida, corpi nudi, lacerazioni, sguardi. Soprattutto, emozioni.

Dagli anni Settanta, quando con il compagno Ulay esplorava la simbiosi tra amore e pericolo, fino a The Artist Is Present (2010), in cui il silenzio diventava un ponte tra sconosciuti, Abramović ha fatto del corpo una tela da lacerare, trafiggere, incidere.

Un luogo dove si combattono potere, genere, morte, solitudine.

Bergamo ha dato spazio a una sorta di antologia dell’espressione artistica di questa straordinaria filosofa del nostro tempo, una mostra che è stata un invito a guardarsi dentro.

IL CORPO COME SPECCHIO SOCIALE E TELA DA LACERARE

In un’epoca di relazioni virtuali, corpi digitalizzati e intelligenze artificiali, Marina Abramović ha riportato l’attenzione sulla fisicità. Non sull’idea di un corpo perfetto, che può riportare alla memoria teorie filosofiche di un secolo fa, tra cui il superuomo di Nietzsche e la morte di Dio, ma un corpo che sanguina, trema, resiste.

Un corpo che è involucro, ma anche pelle dell’anima. Della donna, ma anche di un atomo di società.

Perché nelle performance di Marina Abramović, il dolore non è mai privato, ma è una ferita collettiva.

Nella performance Rhythm 0, dove il pubblico poteva usare 72 oggetti su di lei, dalle rose ai coltelli, rivelava quanto la violenza sia insita nelle dinamiche di potere.

The Artist Is Present, invece, trasformava lo sguardo in un atto di cura. Seduta per ore di fronte a estranei, Abramović dimostrava che l’empatia può essere persino rivoluzionaria.

FOCUS SU ALCUNE OPERE IN MOSTRA DELL’ARTISTA, DEL SUO FUOCO DELLA TRASFORMAZIONE

Nell’opera Carrying the Skeleton uno scheletro è avvinghiato al suo corpo.

Erotismo e morte si fondono in un gesto che è insieme tenerezza e sfida, perché lo scheletro non può essere un nemico, ma un compagno di viaggio.

Abramović ci ricorda che la mortalità è il collante della nostra umanità. Senza la consapevolezza della fine, non esiste slancio vitale.

Una consapevolezza che, tuttavia, deve essere sana e non trasformarsi in ossessione e paura, altrimenti quello scheletro può svilupparsi e diventare talmente pesante da soffocare la vita di chi lo trasporta.

REST ENERGY: FIDUCIA COME ATTO ESTREMO

Un arco teso. Una freccia puntata al cuore. I battiti di Abramović e Ulay amplificati come un tamburo di guerra.

In quell’istante, l’arte diventa un patto: “Mi fido di te così tanto da rischiare la morte?”.

È una metafora cruda delle relazioni umane, dove l’amore è sempre un equilibrio tra resa e controllo.

Eppure c’è di più. Perché in quel rischio, in equilibrio tra fiducia e timore, tra la vita e la morte, c’è in gioco anche il vivere in coppia e il gioco delle relazioni umane, dove spesso, quando uno tende la corda, l’altro tira l’arco, caricando ancora di più la freccia.

Invece, basterebbe che uno dei due allentasse la presa e facesse un passo verso l’altro per annullare ogni pericolo e ogni tensione.

IL CORPO IMMERSO NEI CRISTALLI. LA LUCE NELLE FERITE

Distesa sotto una cascata di cristalli di ghiaccio, Marina Abramović trasforma la sofferenza in bellezza. I cristalli, simboli di purificazione, diventano un’armatura luminosa, in un’immagine di rinascita, dove le cicatrici del passato non scompaiono, ma brillano.

Un momento che fa parte di una performance più complessa, in cui l’artista costringe il proprio corpo a subire una serie di angherie ai limiti della sopportazione.

Una performance che, in passato, ha visto la partecipazione del pubblico, intervenuto per porre fine alle sofferenze dell’artista.

In una società che esalta la perfezione e l’eterna giovinezza, quest’opera è un inno alla fragilità come forza, ma anche un risveglio dell’empatia e della partecipazione ai tormenti degli altri.

UN INVITO ALLA RESPONSABILITÀ: L’ARTE CHE INTERROGA IL PRESENTE

Marina Abramović non crea per stupire, ma per denunciare, per interrogare. Soprattutto, per accendere nelle persone lo spirito critico.

Le sue performance sono specchi che riflettono le nostre contraddizioni più grandi, dall’individualismo alla paura del contatto, fino all’ossessione per il controllo.

Prendete Imponderabilia.

In quest’opera, i visitatori erano costretti a strisciare tra i corpi nudi dell’artista e di Ulay per entrare in un museo. L’installazione fu fatta anche all’ingresso della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, nel 1977.

Quel varco angusto è una metafora delle convenzioni sociali e ci costringe a domandarci quanto siamo disposti a sacrificare per appartenere e dove fissiamo lo sguardo per non sentirci in colpa?

BERGAMO HA DATO SPAZIO AL PALCOSCENICO DELL’UMANO

La mostra andata in scena a Bergamo, presso il nuovo spazio culturale gres art 671 di Via S. Bernardino, ha dato l’occasione per interrogarsi, di fronte a opere che non aspettano occhi, ma pensieri e ragionamenti.

Opere che costringono a sentire il peso del proprio respiro e spingono ad accettare che l’arte vera non rassicura, ma, al contrario, sconvolge.

Marina Abramović ci ricorda che il corpo è il primo strumento di rivoluzione e anche il nostro contatto principale con il mondo.

Perché è il corpo che lotta, che ama, che invecchia e soffre. Un corpo che, nella sua imperfezione, diventa simbolo di resistenza.

Un’artista che invita a riflettere sulla vita e sulla morte, come in Seven Death, l’esperienza cinematografica immersiva che ha visto protagonisti Marina Abramović e l’attore Willem Dafoe.

Una performance che ha rielaborato sette morti attinte all’Opera, ognuna musicata con la voce di Maria Callas.

In un mondo che cerca di addomesticarci, che aspira a controllarci e a suggerirci cosa pensare e chi sono buoni o cattivi, la voce di questa artista è fuoco che purifica e spinge a mettere in discussione ogni cosa, persino sé stessi.

Perché Marina Abramović non ha mai chiesto di essere guardata e applaudita, ma chiede a tutti noi di esistere. Con il corpo e con la mente.

Perché vivere pienamente, mettendo a nudo il corpo, la mente e l’anima, e ponendo ogni cosa in discussione, con il coraggio di dissentire, è un rischio molto elevato.

E tu, sei in grado di farlo? Sei pronta/o a rischiare?

PERCHÈ HANNO UCCISO PASQUALE DI MATTEO?

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Una opinione su "MARINA ABRAMOVIĆ. IL CORPO COME ATTO RIVOLUZIONARIO NELLA MOSTRA “BETWEEN BREATH AND FIRE”"

  1. Indipendentemente dalla nostra volontà noi cambiamo ogni giorno. Direi ogni ora. Perché veniamo in contatto con quello che ci circonda. Potremmo essere riottosi ma è inevitabile sentirne il sapore, udire il terreno che cambia, il pensiero che resta fermo ma che comunque ha fatto suo percorso e incita l’evolversi dell’Io. Non ce ne accorgiamo. Ma è così. Lo scopriremo domani. Ma è nato oggi. Inutile resistere.

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